Oumaima
Saikouk (Progetto CIPSI-COSPE, Senegal:
“Dignità e pari opportunità per le donne di Pikine Est)
OUMAIMA:
RADICI IN VIAGGIO
La prima volta che l’ho vista, ho notato la sua
eleganza. Quando ci ho parlato, sul bordo di una finestra, con i colori del
tramonto come sfondo, ho scoperto la positività, l’energia, la riflessione e
l’ascolto che possiede. Oumaima è un mondo da scoprire, in costante evoluzione;
è un’esplosione di carica positiva; è un’anima bella, un cuore aperto e una
coscienza profonda.
Prova, prova… Sta registrando? Sì…
Parlami di te, di quello che vuoi.
Allora il mio nome intero è Oumaima, dalla radice
‘Um dall’arabo che significa mamma, quindi piccola mamma. In effetti mi sento
un po’ una piccola mamma perché sono la classica che ti chiede “Hai dormito?”
ma soprattutto “Hai mangiato?”. In molti contesti faccio proprio da mamma.
Tante volte però mi piace anche farmi coccolare, come fossi una bimba. Quindi
una piccola mamma ci sta, è un po’ un contrasto, un ossimoro carino.
Ho 25 anni ma tanti, quasi tutti, mi danno meno e
la cosa mi fa felice perché spero che continui così anche fino ai 40 anni. Sono
originaria del Marocco, sono nata a Casablanca. Ho vissuto a Casablanca fino ai
10 anni e poi mi sono trasferita con mia mamma e mio fratello per raggiungere
mio papà a Genova.
Com’è stato
trasferirti in Italia?
Arrivata in Italia mi è sembrato tutto molto
strano. Vieni sradicato da un posto e devi ripiantare le tue radici in un
altro, però quello che ho imparato è stato proprio trovare un terreno fertile
ovunque. Di modo che questo albero continui a crescere e ad essere sempre più
ricco di fiori e frutti.
Cerco di portare la mia voglia di interazione
ovunque io vada perché secondo me è essenziale, la preferisco alla parola
integrazione che sembra una cosa molto forzata. Saper interagire, saper dare
del mio e saper assorbire del tuo, credo che sia una cosa essenziale che ho
visto mancare tantissimo negli ultimi tempi. Per me è stato molto più facile
inserirmi in una società completamente diversa dalla mia, cultura diversa,
religione diversa, lingua diversa, gastronomia diversa (ma estremamente
piacevole). Ed è stato essenziale, in questo, il ruolo dei maestri e
professori. Ricordo ancora che sono entrata da quella porta alle elementari e
tutti mi guardavano stupiti perché ero l’unica bambina straniera. Le maestre
sono state eccezionali nel far provare agli altri la curiosità, e questo mi ha
aiutato tantissimo. Così non ho provato più vergogna, ero sempre con la mano
alzata e in 4 mesi ho imparato l’italiano senza difficoltà. Quell’interazione
che c’era in classe, quella condivisione, collaborazione, curiosità degli
altri, il non pregiudizio. Tutto questo ha fatto di me quella che sono oggi.
Perché probabilmente se l’atteggiamento fosse stato diverso sarei stata molto
più chiusa, magari anche da parte mia ci sarebbe stato pregiudizio, magari
avrei fatto un vittimismo continuamente perché uno che subisce, subisce,
subisce poi si sente sempre il capro espiatorio anche quando non lo è.
E poi…
Ho fatto il liceo linguistico ed ho studiato francese, spagnolo e inglese. Assorbo in maniera incredibile gli accenti. Molti italiani mi dicono “Parli bene l’italiano”, e a volte simpaticamente rispondo “Anche tu” perché non è così scontato che un italiano parli bene l’italiano! Poi gli studi sono venuti da sé. Volevo studiare in
Francia ma per una serie di imprevisti, non mi è stato possibile. Nonostante
avessi passato tanto tempo a prepararmi per quello e ad immaginarmi in un certo
posto, non mi sono demoralizzata e ho selezionato l’Università italiana prima
in graduatoria, iscrivendomi a scienze Internazionali Diplomatiche a Gorizia. È
stata un’esperienza molto bella, compresa quella dell’Erasmus ad Alcalà de
Henares, vicino a Madrid, che mi ha cambiato totalmente.
In che
senso?
Io ero molto aperta, parlavo con tutti, parlerei
anche con un muro se mi mettessi davanti a un muro, non ho problemi. Però ero
molto rigida su tante cose personali. Se non si poteva fare quella cosa, io non
la toccavo, senza neanche discutere. Invece poi ho imparato a mettere in
questione tante cose, a ragionare, a chiedermi “È giusto o non è giusto? Perché
si deve fare? Dove e come è scritto? Cosa si intende con quello?”. E questo
perché ho conosciuto molte persone da tutto il mondo. L’incontro ti arricchisce
e ti porta a farti più domande, sulla vita, sul perché delle cose. Più vado
avanti e più mi metto in discussione. Una volta mi impuntavo ed avevo ragione
io.
E sei
riuscita a riportare a casa quello che avevi imparato in Spagna?
Sì, io sono tornata completamente cambiata. Ho
visto anche persone che, dopo l’Erasmus, sono tornate alla vita di sempre. Io
no, vedevo tutti e tutto in maniera diversa.
Ed è stato
difficile ritrovarti in questa nuova te?
No, è stato estremamente piacevole. Mi piace la
persona che sono oggi. Anche se ovviamente, essendo io inquadrata, anche le
amiche di cui mi ero circondata lo erano. Quindi, quando ad esempio, mi
sentivano fare determinati discorsi, mi dicevano “oh Umi, ma tu chi sei? Però
ci piace questa nuova te”. Così, in qualche modo, inizi a far vedere anche agli
altri le cose in maniera diversa.
È uno spunto
anche per loro no?
Esatto. E questo è quello che mi piace. Mi piace
trasmettere, mi piace riflettere e far riflettere gli altri. E tante volte,
quando fai vedere un’altra prospettiva, funziona. La verità assoluta non esiste
e quindi è importante, secondo me, riflettere su questo.
E senti di
voler continuare a mettere radici in posti diversi o ti piacerebbe fermarti in
un posto in particolare?
Mai. Mai fermarsi, non riesco a fermarmi, non ci
riesco proprio. È più forte di me. Sono sempre stata molto attiva: radio,
teatro, associazioni, volontariato, mille cose. Alla prima occasione, sono
andata in Erasmus e a fare la tesi fuori. Più mi muovo, meglio sto. Vorrei
continuare a spostarmi. Perché è un continuo arricchirsi. Sembra quasi una
dipendenza.
E riesci a
mantenere le radici che hai lasciato?
È come dei semini che lasci e poi torni e vedi se
sono cresciuti oppure torni e trovi che sono marci.
Dipende se
nel frattempo hai annaffiato o meno…
Brava. Dipende se hai annaffiato, io sono molto
probabilmente una persona da pianta grassa. Nel senso che ho bisogno che tu
come pianta resista. Non sono una che ti assilla scrivendoti tutti i giorni
perché preferisco viverti. Io ho sia amiche che sono sempre in giro sia amiche
che sono rimaste ferme, ma quando ci rivediamo è come se il tempo non fosse
passato.
E tu riesci
a prendere le varie te, dei vari posti, delle varie radici, e a metterle
insieme in quella che sei, o ti capita magari che nel posto nuovo in cui vai ti
cali talmente in quel contesto che ti scordi le altre te?
Domanda interessante. È come una corrente d’acqua
che va ma l’essenza è quella. Ti adatti, però quel qualcosa di te lo
riconoscono gli amici di Genova come gli amici di Gorizia.
E chi non ti
è riuscito a conoscere, come ti descriverebbe?
Non lo so, sicuramente come una chiacchierona, una
persona solare, che porta allegria. Poco tempo fa, dopo essere passata a
salutare un mio amico in una giornata per lui stressante, mi hanno riferito che
si è sentito più rilassato dopo avermi visto perché gli avevo messo allegria. E
questa cosa mi ha fatto ridere il cuore, è questo ciò che mi piace. Spero di
mettere allegria alle persone. Sei lì giù triste e io vengo e ti tiro su. Altri
amici mi hanno detto che all’inizio erano un po’ in soggezione perché pensavano
fossi cattiva e severa. Io?! La cosa essenziale per me è far sentire gli altri
a proprio agio, questo è importantissimo. Soggezione? No! Prendiamola e
accantoniamola.
Dopo
l’esperienza del servizio civile come pensi di tornare?
Con più risposte o con più domande. È come un
puzzle che stai componendo senza sapere quello che succederà. O magari nello
stesso puzzle c’è qualcosa che hai già composto, ma prendi e rimetti altri
pezzi che ti sembrano più belli. Spero che questa esperienza mi arricchisca, mi
faccia vedere e capire tante cose. Però cerco di non avere aspettative; vado,
imparo, imparo, imparo, reagisco e vediamo cosa succede.
Qual è la cosa
che ti piacerebbe portare di te lì?
Secondo me la sete di interagire, la sete di
conoscere e la voglia di mettere a proprio agio le persone, di farle sentire
rilassate, contente, felici in quel momento. La voglia di togliere ogni ansia,
ogni stress. La mia filosofia di vita è “positività attrae positività,
negatività attrae negatività”. Quindi la voglia di portare felicità,
positività. Sono estremamente positiva, a volte anche troppo, sono sagittario.
Io pure! Che giorno?
26 Novembre. Io 25!
Da questo momento abbiamo chiuso il registratore, ed ho scoperto le caratteristiche del mio segno, il mio ascendente e quanto Umi riesca veramente a mettere a proprio agio chi ha davanti. In bocca al lupo per questa nuova esperienza e auguri per le radici che pianterai, ancora e ancora.
A cura di Valentina Scala
Michelangelo Caserta (Progetto Edu-dac, Senegal: “Salute: stop malaria e consultorio femminile a Pikine Est”)
MICHELANGELO: PRONTO ALL’AZIONE
“L’unico posto che mi manca è quello
in cui non sono ancora stato”. Così
Michelangelo, 24 anni, classico “primo della classe” a cui piace
essere informato ed aggiornato, mi ha stupita, rivelandosi pronto all’azione. Beh, previa progettazione!
Ciao Michelangelo, iniziamo. Come ti definiresti?
Dunque, mi piace definirmi “sradicato”.Sono nato a Napoli, da genitori
napoletani. Ho vissuto a Siena dai 4 ai 19 anni e poi ancora a Roma dai 19 anni
ad oggi. Questa assenza di radici e di legami, questo essere un migrante interno libero,
penso mi abbia aperto alla diversità, alle differenze del mondo. Di fatto, non mi sento solo italiano. Mi
sento…di più! Mi sembra di dover
sfruttare il mio tempo per conoscere nuove realtà, per poter dare il mio
contributo nei posti in cui andrò. Vorrei
vivere in un posto per un certo lungo periodo, entrare in quella società, non
sentendomi più straniero per quanto possibile.
Ci racconti il tuo percorso di studi?
Dunque, ho frequentato il liceo linguistico e ho proseguito all’università con mediazione
linguistica interculturale. Con le lingue ho
iniziato ad aprirmi al mondo, ma sono convinto siano solo un mezzo. Per questo,
una volta finita la triennale, ho deciso di proseguire in Scienze dello
Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, andando a delineare il mio
percorso ed i miei interessi, sempre più chiari, nei confronti dell’Africa e
della migrazione. Contemporaneamente
all’università, dai 19 ai 24 anni, ho frequentato il Collegio Universitario dei
Cavalieri del lavoro Lamaro Pozzani, nel quale ho avuto accesso a corsi di
formazione, di lingua e ad incontri settimanali con personalità del mondo
politico, istituzionale, giornalistico ed imprenditoriale. Questa opportunità
mi ha permesso di fare esperienza di comunità e di confronto.
Quando hai iniziato ad interessarti all’Africa e alle migrazioni?
Durante il primo semestre del primo anno di università, grazie ad un
seminario tenuto da Chiara Peri del Centro Astalli, sede italiana del servizio
dei gesuiti per i rifugiati. Mi ha fatto scoprire questa realtà, della quale,
prima di quel giorno, non sapevo quasi niente. Ho dunque iniziato ad
interessarmi, a studiare, a seguire. Mi sono appassionato all’argomento, tanto che
questo è andato a definire le mie successive scelte di percorso e di vita. Ho sviluppato la tesi di laurea triennale
andando a mappare e descrivere le rotte migratorie dall’Africa all’Italia.
Nella tesi di laurea magistrale ho invece analizzato l’azione esterna
dell’Unione Europea in Africa in ambito di immigrazione. Da quel giorno ho inoltre provato a
rendermi utile.
In che modo hai provato a renderti utile?
Dal 2015 mi
sono dedicato a diverse iniziative di volontariato. Inizialmente con i salesiani della
parrocchia del sacro Cuore di Roma, i quali prestano la loro opera ai senza
fissa dimora della stazione di Roma Termini, ai quali si vogliono garantire dei
pasti, certo, ma anche una semplice chiacchierata. Ho poi prestato servizio all’accettazione
della mensa del Centro Astalli. L’esperienza più
forte è però stata quella che ho vissuto nel 2019, con l’associazione Comunità
Papa Giovanni XXIII che si occupa dei senza fissa dimora e delle vittime della
tratta degli esseri umani. In particolare l’obiettivo è quello di offrire
ascolto e una possibile via di uscita, in una casa famiglia, con il progetto di
imparare l’italiano e inserirsi nella società anche dal punto di vista
lavorativo. Ho sentito storie drammatiche e pesanti,
a volte è stato frustrante perché magari parlavo per sei mesi con la stessa
persona che
alla fine, però, non veniva via. È stata per me una grande occasione di crescita. Ho inoltre partecipato ad un progetto di
supporto scolastico per bambini stranieri nati o cresciuti in Italia, con la
comunità di Sant’Egidio. Personalmente ho
seguito una bambina originaria delle Filippine ed una dello Sri Lanka, è stato molto bello, mi sono rimaste nel cuore. Ultimamente ho anche lavorato come
dialogatore face to face per Amnesty International, cosa che mi ha
permesso di mettermi in gioco. Dovevo fermare persone a caso, spiegare loro la
realtà dell’associazione e convincerle a creare un rapporto di fiducia con
Amnesty, e a sostenerla. Tale compito ha richiesto tanta pazienza, ironia,
credibilità.
Ho dovuto provare ad essere convincente, e
ad avere forse, addirittura, coraggio.
Qual è, dunque, il tuo progetto, il tuo sogno?
In futuro
mi vedo probabilmente come cooperante. Il mio
sogno sarebbe stare nei campi profughi, gestire
corridoi umanitari, lavorare per garantire la protezione dei diritti umani, impegnarmi nel reinserimento. Fare in modo che si possa arrivare in un
posto sicuro, in modo sicuro e legale. Il servizio
civile universale, esempio di equità sociale ed ottima opportunità per i
giovani, sarà per me un modo per fare esperienza di cooperazione e capire se
potrebbe essere davvero la mia strada.
E da
parte mia, Mik, ti
auguro che quest’anno ti possa aiutare a
delineare chi sei e chi sarai, che sia l’inizio della realizzazione dei tuoi grandi progetti.
E sono sicura che
nel tuo piccolo lo farai, riuscirai
a cambiare il mondo.
A cura di Elisa Dachena
Cristina Cascarano (Progetto
Cevi, Costa D’Avorio: “Sostegno scolastico per i minori svantaggiati di Daloa”)
OCCHI CHE BRILLANO DI AFRICA
Cristina è una
giovane milanese di 27 anni. Mentre mi racconta che partirà per la Costa
d’Avorio con il servizio civile, le brillano gli occhi per l’entusiasmo. La sua
intervista mi ha permesso – come suggerisce l’etimologia del termine – di
“inter visere”, cioè di vedere attraverso la superficie. Con questo
incontro ho quindi scoperto una persona che non nasconde le sue piccole paure,
una persona consapevole, una persona con una grande forza e determinata di
assumersi le responsabilità che sente in quanto cittadina del mondo. In poche
parole, una persona umana.
Cominciamo con
una domanda semplice: cosa hai studiato?
In triennale scienze
sociali, mentre in magistrale programmazione e gestione delle politiche e dei
servizi sociali. Il problema della mia magistrale è che non ha una figura
professionale di riferimento e sto cercando di crearmela adesso. Quindi il
servizio civile è per me anche un’occasione per continuare a formarmi e capire
meglio quali sono i miei punti di forza e di debolezza.
Perché hai scelto
di fare il servizio civile?
Per mettermi alla
prova e fare un’esperienza di lungo periodo. La mia esperienza più lunga è
stato un tirocinio curriculare di sei mesi presso un centro diurno di rifugiati
richiedenti asilo, poi ho avuto delle brevi esperienze di volontariato. Vorrei
trovare un lavoro nel sociale e credo che il servizio civile mi aiuterà a
capire se quello che ho scelto è il percorso giusto per me. Poi, sono
innamorata dell’antropologia culturale: è stata quella che mi ha fatto aprire
gli occhi, cambiare la mia visione del mondo e scoprire che non esiste un’unica
verità né lenti univoche attraverso cui vedere il mondo. Lo scambio
interculturale tra idee e visioni diverse sarà sicuramente per me un momento di
arricchimento e spero possa essere utile anche per le persone che incontrerò.
Come ti senti
all’idea di partire?
Ammetto che un po’
di ansia c’è. Io in realtà sono stata ripescata, ma appena mi hanno preso per
la Costa d’Avorio ero euforica. Quando ho iniziato a informarmi sul contesto,
ho visto che era un po’ diverso da quello che avevo scelto, ovvero la Cambogia.
Conosco poco dell’Africa, quindi ho un po’ di paura, però allo stesso tempo ne
sono entusiasta. E poi cerco di partire lasciando a casa le aspettative,
preferisco lasciarmi un po’ carta bianca e vedere lì come si svilupperà.
Cosa speri di
portare in Costa d’Avorio, un cambiamento?
Il fatto che non
abbia già avuto un’esperienza di lungo periodo da una parte lo vedo come un
punto di debolezza perché significa non avere certe competenze professionali;
d’altra parte, mi dà il vantaggio di pensare fuori dagli schemi. Spero che il
mio sguardo esterno possa essere utile.
Cosa farai sul campo?
Il progetto è
rivolto alla scolarizzazione dei minori. Per il momento, non sappiamo
esattamente di cosa ci occuperemo. So che il problema principale in loco è che
i bambini devono essere iscritti all’anagrafe per poter frequentare la scuola,
cosa che però presenta un costo e disincentiva le famiglie; quindi uno degli
obiettivi primari sarà incentivare le famiglie a iscrivere i propri figli
all’anagrafe. In secondo luogo, mi è stato proposto di collaborare alla
scrittura di un progetto sui minori detenuti vista la mia previa esperienza con
una ONG in Brasile che si occupa della riabilitazione dei detenuti. Non nego di
essere un po’ preoccupata perché il sistema carcerario della Costa d’Avorio è
un contesto complicato, dove i diritti umani non sono rispettati e quindi
potrei avere bisogno di un supporto. Allo stesso tempo, sono mansioni
stimolanti per me. Osservare il sistema carcerario sia in Italia che in Brasile
è stato molto interessante, mi ha dato molti spunti di riflessione e mi ha
fatto rendere conto di quanto non abbiamo tutti gli stessi strumenti alla
nascita. Pensiamo di essere liberi, di essere un libro bianco e poter scrivere
la nostra storia, ma in realtà non è così. Poi mi sono anche resa conto di
quanto sia importante agevolare uno scambio con la società civile una volta
terminata la pena e favorire il reinserimento. In Costa d’Avorio questo è
complicato perché le famiglie non accettano gli ex detenuti. Quindi l’idea di
poter partecipare alla scrittura di un progetto del genere mi interessa
tantissimo.
Andando in Costa
d’Avorio cambierai completamente il tuo contesto e la tua prospettiva di vita.
Come pensi che reagirai inizialmente? E come pensi reagirai una volta rientrata
in Italia tra un anno?
Mi reputo una
persona che si sa adattare. Ho viaggiato molto, soprattutto nel Sud-Est
asiatico, in contesti completamente diversi dal nostro. Le difficoltà legate
allo stile di vita come può essere la mancanza di acqua corrente per qualche
giorno o quella di internet non mi spaventa. Mi preoccupano però due cose: lo
shock culturale che potrei provare all’inizio e il fatto di vedere realtà che
mi facciano sentire talmente male da avere bisogno di un supporto. D’altra
parte, non vedo alcun problema nel chiedere aiuto: abbiamo la psicologa, le
compagne di viaggio, dunque non siamo soli. Più che altro, secondo me, potrà
essere più difficile il ritorno: penso che se mi troverò bene e riuscirò a
trovare una mia dimensione lì, sarà difficilissimo rientrare. Sto cercando di
partire con la mente più tranquilla possibile e di lasciare a casa le mie
aspettative. Poi, per esempio, non conosco il francese, ma mi sono sempre
lanciata, anche sbagliando tutto, quindi confido che andrà bene.
Tu che visione
hai del mondo?
Credo che siamo
sempre più divisi, alienati ed egoisti. C’è poco senso comunitario, manca una
sorta di giustizia sociale. Credo tanto nella redistribuzione delle risorse.
Noi, mondo occidentale, abbiamo depredato per secoli, quindi sarebbe necessaria
restituire ciò che abbiamo preso e ciò che ci ha reso così grandi oggi. Questo
è un altro dei motivi per cui ho scelto di fare il servizio civile fuori
dall’Italia, per un avere confronto con culture diverse e sentirmi parte di una
comunità. A livello economico, credo che siamo focalizzati sulla
massimizzazione del profitto, dimenticandoci dell’aspetto umano.
E cosa
cambieresti di questo mondo?
Mi piacerebbe che ci
fosse più collaborazione tra Stati, maggior condivisione delle problematiche,
maggior spirito di solidarietà. Paradossalmente, oggi siamo sempre più alienati
nonostante non siamo mai stati così interconnessi a livello globale. Mi
piacerebbe quindi che non ci fosse solo un’interazione di tipo economico, ma anche
una maggiore responsabilità reciproca. Poi mi piacerebbe che la società civile
riuscisse maggiormente a far sentire la propria voce. Già adesso con i
movimenti di protesta che si stanno organizzando, come il Friday for future,
qualcosa inizia a farsi sentire e mi auguro che si continui su questa strada.
Ti definiresti
una cittadina responsabile?
Questo mondo lo
stiamo lasciando a chi verrà, quindi credo sia importante fare qualcosa qui e
oggi. Nel mio piccolo, cerco di fare il possibile, di assumermi le mie responsabilità:
fare la differenziata, per esempio, e cercare di persuadere chi mi sta intorno
a riconoscere le proprie responsabilità e a cambiare i propri comportamenti.
Mentre quando ero piccola non lo facevo, ora quando si tratta di difendere un
valore in cui credo mi metto molto in gioco. Cerco di trasmettere quello in cui
credo, di educare, nel senso di spiegare e trasmettere un altro punto di vista.
A cura di Marta Bellofatto
Monica
Savianu (Progetto EDU-DAC,
Senegal: “Salute: Stop malaria e consultorio femminile a Pikine Est”)
HO IMPARATO A VIAGGIARE
Capelli corti,
occhi grandi e zigomi pronunciati. Monica mi accoglie con un grandissimo sorriso
che mi mette subito a mio agio. Anche quando mi parla di sé è raggiante e i
suoi racconti, così come la sua vita, mi incuriosiscono. Forse abbiamo più cose
in comune di quanto pensassi.
Ciao Monica, ci racconti chi sei e da dove vieni?
Sono Savianu Monica
Sînziana, ho 24 anni e vengo dalla Romania. Sono nata e cresciuta lì. A 9 anni
mi sono spostata in Italia con la mia famiglia. Ci siamo trasferiti in Veneto,
precisamente a Motta di Livenza, in provincia di Treviso, che è un posticino
molto tranquillo di 12mila abitanti nella pianura padana. Mi sono appena
laureata in psicologia e sono tornata da poco a casa con mamma.
Ti ricordi com’è stata per te l’esperienza dello spostamento dalla
Romania all’Italia, com’è stato vivere senza i tuoi genitori?
Vivere senza i miei
genitori è stato abbastanza difficile, perché quando loro sono partiti io avevo
4 anni e mezzo e sono stata da sola fino ai 6 anni. Ho sentito molto la loro
mancanza, anche perché sono sempre stata la piccola di casa. Devo dire che è
stata un’esperienza abbastanza pesante, come è normale che sia per un bambino
che non ha vicino i suoi genitori. Un’altra cosa che ricordo riguarda la
natura. Per i primi anni di vita vivevo in questa casa sul cucuzzolo di una
montagna, in mezzo al verde, quindi per me era naturale e normale stare scalza,
arrampicarmi sugli alberi e avere certe libertà. Una volta arrivata qui, ho
sentito proprio la differenza perché siamo andati ad abitare in un appartamento
al quarto piano, in una mansardina di cui di verde c’era ben poco e mi sentivo
un po’costretta. Non è stato molto facile inizialmente, motivo per cui ho
sempre un po’ temuto fare viaggi grandi. Pensavo, in un modo ingenuo, che
significasse questo viaggiare. Fortunatamente, grazie all’esperienza di mia
sorella, che fin da piccola ha sempre viaggiato di più, verso i 17-18 anni ho
capito che in realtà mi sarei voluta mettere in gioco anche io, provare,
sperimentare dei viaggi.
Quindi cosa significa per te viaggiare?
Ora la mia idea di
viaggio è cambiata rispetto a quando ero piccola. Prima per me un viaggio
significava sradicarsi, modificare in modo abbastanza “aggressivo” il proprio
mondo e quindi l’ho sempre vista come una cosa per certi versi negativa. Poi,
crescendo, ho capito che viaggiare dà moltissimo. Con il mio spostamento dalla
Romania ho imparato a stare in un altro posto e ho avuto delle esperienze
bellissime. Conoscendo in una cultura differente, imparando una nuova lingua,
ho avuto la possibilità di capire quali sono le tradizioni di questo paese,
cose che poi mi hanno portato ad essere sempre più curiosa anche rispetto a
tutti gli altri paesi. Si è modificata così la mia idea, perché adesso sono
molto più curiosa di scoprire qualsiasi posto. Quindi perché non partire
dall’Africa!
Qual è stato per te un viaggio memorabile? E un viaggio che vorresti
fare?
Il primo viaggio
memorabile è stato quello a Bordeaux. Memorabile proprio perché mi ha fatto
rendere conto del fatto che viaggiare da soli è una cosa stupenda. Ovviamente
anche per i luoghi: Bordeaux è una città bellissima che vorrei visitare almeno
una volta all’anno, anche i vini di Bordeaux sono molto buoni! Un viaggio che
mi piacerebbe molto fare riguarda il sud est asiatico. Mi piacerebbe proprio
girarmelo tutto. Cioè prendere, zaino in spalla, e visitarmi con calma tutto
quanto.
C’è un momento in cui hai capito di voler studiare psicologia?
Partiamo dalle
superiori. Io ho fatto il turistico e quindi diciamo che mi è sempre piaciuta
la diversità, però non sono mai stata abbastanza coraggiosa per mettere in atto
le cose che studiavo. Alle superiori comunque studiavamo psicologia, che mi è
sempre piaciuta, è sempre stata una cosa che mi sarebbe interessato approfondire.
All’epoca però già lavoravo. Ho lasciato la cosa un po’ in sospeso perché ho
lavorato per due anni, prima di iniziare l’università. Ho fatto un anno in un
bar, poi un altro anno come impiegata in un’azienda. Poi, grazie a quest’ultima
esperienza, che mi ha fatto crescere moltissimo e mi ha dato tanto, ho capito
che non mi volevo fermare lì, che mi sarebbe piaciuto riprendere in mano le
cose che avevo lasciato in sospeso e ho deciso di iniziare l’università. Molto
impaurita, devo ammetterlo, perché non studiavo da tanto e non sapevo bene da
dove partire e in che modo farlo. Però poi è andato tutto per il verso giusto!
Sono molto felice di questa scelta, perché credo sia una cosa mia, che mi
rappresenta, quindi ne vado veramente fiera.
E adesso, invece, i prossimi step quali saranno?
Per ora ho di nuovo
deciso di mettere in sospeso la questione studi, perché sono una persona molto
dinamica, ho sempre molti interessi, faccio sempre moltissime cose e sono
sicura della mia scelta di psicologia e soprattutto di quello che sarà la mia
scelta di magistrale. Ci sono alcuni aspetti che, però, mi interessano molto e
che non vorrei tagliar fuori. Quindi vorrei sperimentare alcune cose. Ad
esempio, a me piace molto l’antropologia e non mi è possibile fare una
magistrale che metta insieme queste due cose. Quindi ho deciso di sperimentare
sul campo l’antropologia, per capire magari davvero a tutto tondo quale sia la
mia effettiva strada. Quest’anno vuole essere un mettermi alla prova.
Mi sembra di capire che hai tanti interessi, ce n’è qualcuno in
particolare?
Sono molto interessata
al mondo della meditazione e dello yoga, li pratico da parecchio tempo. Poi ho
sempre fatto sport nella vita, pur cambiandone molti. Sono passata dal karate,
che facevo da piccola, alla danza classica, al pilates. Ho fatto arrampicata,
che è una cosa che mi piace moltissimo. Io ho studiato a Trieste, dove ci sono
le pareti più belle per arrampicare. È stato molto bello, sono felice di aver
fatto questo corso di arrampicata proprio lì, perché mi ha permesso di
conoscere Trieste dal punto di vista un po’ più locale. Mi piace molto anche
leggere e guardare film. Un’altra cosa che mi piace moltissimo è giocare ai
giochi di società, infatti penso di portarmi scarabeo con me in Senegal!
Dicevi che quando eri piccola vivevi in mezzo al verde, qual è il tuo
rapporto con la natura?
Ho un attaccamento
molto forte alla natura e soprattutto agli animali, motivo per cui ormai un
anno e mezzo fa ho scelto di diventare vegana. La mia scelta ha radici molto
profonde, perché in Romania, fortunatamente, oltre a stare in mezzo al verde,
ho avuto la possibilità di crescere in mezzo agli animali. Noi avevamo delle
galline, un maialino con cui io e mia sorella ci divertivamo tantissimo,
capretti, poi da mia zia c’erano anche le mucche. Quindi per me è sempre stato
molto bello stare con gli animali, li ho sempre apprezzati. Fin da piccola,
però, vedere ed assistere alla loro uccisione-era una cosa normalissima in
campagna- mi ha sempre fatto stare molto male. Nei primi anni di adolescenza,
quindi, ho voluto iniziare un pochino a imporre il mio diritto a non mangiarli,
cosa che all’inizio non è stata per nulla apprezzata dalla mia famiglia, però
ormai mi appoggiano in questa scelta. Ho un rapporto molto stretto con
l’ambiente. In questi ultimi tre anni a Trieste ho sempre scelto di comprare
locale, dal fruttivendolo di fiducia. Ho un amico permacultore che mi portava
le sue verdure, ho assistito a diverse conferenze e mi sono sempre più
appassionata a tutto questo. Cerco quindi di impattare il meno possibile, per
quanto io possa. Infatti, sono un po’ preoccupata per lo spreco incredibile, ad
esempio di bottiglie, che faremo in Africa.
Parlavi di tua sorella. Anche lei verrà con noi in Senegal, anche se
non nel tuo stesso progetto e città. Che rapporto c’è tra di voi, sei contenta
di partire con lei?
Noi abbiamo un
rapporto molto bello. Siamo sempre state molto unite e abbiamo sempre avuto un
rapporto pacifico. Ovviamente negli anni dell’adolescenza è stato tutto un po’
più difficile, com’è normale che sia. Sono molto felice del fatto che lei
parta, anche perché diciamo che è lei che mi ha introdotta in questo mondo. Il
fatto che lei sia lì, durante questo mio primo viaggio così lungo, è un balsamo
per il cuore. Perché, anche se so che potrà essere difficile e impegnativo, e
lei sarà distante perché vivrà in un altro comune, so che sarà sempre lì vicino
a me. Penso che questo mi farà stare bene.
a cura di Claudia Civera
Chiara Caliari (Progetto
CIPSI-COSPE, Senegal: “Dignità e pari opportunità per le donne di Pikine Est e
Dakar”)
LEI ASCOLTA
“Lei ascolta, ha
bisogno di capire, e poi vedrai che avrà qualcosa da dire”. Ho intervistato
Chiara Caliari, una ragazza di 26 anni, sensibile ma anche molto coraggiosa,
che ha costruito la sua vita facendo e studiando ciò che la appassiona. Chiara,
a primo impatto, può sembrare una persona molto timida, ma questa sua caratteristica
le dà una qualità davvero molto importante: la capacità di ascoltare e di
entrare in empatia con chi ha di fronte.
Da dove vieni?
Sono di Verona, ma
vivo a Napoli da ormai tre anni e mezzo. Dopo il liceo ho frequentato
l’università di filosofia di Trento, perché avevo bisogno di un cambiamento. Ho
fatto la pendolare durante il primo anno, poi ho trovato un lavoro in una
pizzeria d’asporto e mi sono trasferita. Finita la triennale sono rimasta ancora
un anno a Trento, poi il mio relatore di tesi mi ha consigliato di continuare
gli studi all’Orientale di Napoli, essendo a conoscenza della mia passione per
il mondo arabo.
Quando è nata la
tua passione per le altre culture?
La cultura araba mi
ha sempre appassionata molto. Studiando filosofia mi sono interessata alle diverse
religioni e a come viene visto il mondo da un’altra prospettiva. Ho fatto la
tesi della triennale sulla questione della apostasia nell’Islam. Ho frequentato
l’Orientale per imparare l’arabo, ma ho dovuto cambiare la scelta della lingua
e ho deciso di studiare il kiswahili, e fare un percorso di approfondimento sul
Nord Africa e Medio Oriente. Poi ho spostato il mio studio sull’Africa Sub-Sahariana
per ampliare i miei orizzonti, e la storia di questo continente nel mondo
internazionale mi ha appassionata molto, così ho deciso di fare la mia tesi
magistrale sulla cooperazione internazionale italiana in Somalia.
Come hai scoperto
il mondo della cooperazione nei paesi in via di sviluppo?
Sin da piccola ero
molto attiva nell’ambiente della parrocchia e mi piacevano molto i racconti dei
missionari sulle loro esperienze. Mi ero anche iscritta alla “Rivista del
piccolo missionario” per leggere le testimonianze di queste persone che
viaggiavano per tutto il mondo e che cercavano, nel loro piccolo, di dare una
mano in situazioni di disagio e disuguaglianza. Ho sempre desiderato diventare
parte attiva di questo mondo. Credo di essere una persona molto empatica e
portata ad aiutare chi è in difficoltà, cercando innanzitutto di ascoltarlo e
poi di trovare una soluzione insieme. Proprio perché sono una persona che sa
ascoltare mia madre, quando ero piccola, diceva sempre: “lei ascolta, ha
bisogno di capire, e poi vedrai che avrà qualcosa da dire”. Ho sempre
pensato che, essendo nata in Occidente e avendo molti agi e fortune, ho il
dovere di impegnarmi nel migliorare le condizioni di chi è più sfortunato.
Quando hai scelto
la strada del servizio civile?
Dopo essermi
laureata, lo scorso luglio, mi sono fermata due mesi per riflettere e valutare
le diverse opzioni. Ho preso in considerazione il volontariato, ma non sapevo
dove e come cominciare. Allora ho pensato al servizio civile, inizialmente
cercando qualcosa in Italia, poi però ho guardato i vari progetti per l’estero
e ho scelto “Dignità e pari opportunità per le donne a Dakar e Pikine Est”, in
Senegal.
Perché questo
progetto?
Perché la tematica dell’uguaglianza
e della parità di genere mi è sempre stata molto a cuore. In particolare questo
progetto si concentra sull’empowerment femminile, con l’obiettivo di ottenere
più autonomia e indipendenza per le donne, con un impegno che va oltre alla
sensibilizzazione e si concentra sulla creazione di posti di lavoro e sulla
formazione di donne in grado di occuparli. Credo che, lavorando a questo tipo
di progetto, si possa rendere la donna parte attiva della società, perché la
essa costruisce le fondamenta della società, ma spesso ce ne si dimentica.
Cosa pensi che ti
darà questa esperienza?
Sono convinta che
crescerò, sicuramente come persona, ma anche dal punto di vista professionale.
Penso che mi insegnerà un modo diverso di rapportarmi con I’altro. Mi
piacerebbe continuare questo percorso una volta tornata. Vorrei lavorare nell’ambito
dell’accoglienza ai migranti, in Italia però, perché penso che ce ne sia molto
bisogno. Questa esperienza mi darà anche l’opportunità di vedere quante cose ho
da offrire e quanto coraggio ho, perché io ora non ne ho ancora idea, ma sono
pronta a scoprirlo.
A cura
di Agnese Bosio
L’articolo I volontari in servizio civile quest’anno (2) sembra essere il primo su Solidarietà e Cooperazione CIPSI.
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