Patrizia
Locatelli (Progetto CIPSI-COSPE, Senegal: “Dignità
e pari opportunità per le donne di Pikine Est e Dakar”)
OLTRE
OGNI LIMITE
“Sarebbe assurdo rinunciare
ancora prima di partire, prima di riuscire a conoscere davvero i propri limiti
e a superarli”. Patrizia, una ragazza solare e ottimista, vuole mettersi in
gioco per migliorarsi continuamente. Non vede l’ora di uscire dalla propria
zona di comfort per scoprire sé stessa e il mondo.
Ciao Patty, raccontami un
po’ di te.
Ciao, mi chiamo Patrizia Locatelli, per tutti Patty. Ho 24 anni e
vivo in provincia di Bergamo, dove ho frequentato il liceo classico. Dopo la
maturità mi sono trasferita a Gorizia per frequentare un corso in Scienze
Internazionali e Diplomatiche. Ho optato per questo corso di laurea perché mi
sembrava offrire un piano di studi più adatto, coerente e completo per riuscire
ad avere una visione più ampia della realtà e dell’attualità. Dopo i primi
anni, ho orientato il mio interesse su tematiche legate alla cooperazione
internazionale, allo sviluppo sostenibile e ai diritti umani. Per questo ho
deciso di proseguire la magistrale in Cooperazione Internazionale sempre a
Gorizia, che ormai considero la mia seconda casa.
Cosa fai quando ti vuoi
rilassare e svagare?
Ci sono molte cose, ma la lettura è quella che più mi affascina
fin da piccina. Mi aiuta a staccare il cervello, immergermi e immedesimarmi in
realtà e mondi che non sono i miei. Credo che anche le letture, nel
tempo, abbiano un ruolo nel definire ciò che siamo e io mi ritrovo molto in
questa filosofia. È grazie a determinati libri, in cui mi sono imbattuta anni
fa, che penso di aver sviluppato una curiosità innata per tutto ciò che ancora
non conosco, e la voglia di conoscere, comprendere e andare oltre il mio
“piccolo mondo”.
Perché hai scelto il
servizio civile?
Da quando ho finito la triennale sento il bisogno di vedere,
sperimentare e di mettermi alla prova, in un contesto che non sia “protetto”. A
volte è necessario uscire dalla propria comfort zone per conoscersi a fondo, sperimentare i propri limiti e
trovare il proprio posto e ruolo nel mondo – se ne esiste uno. Per quanto mi
riguarda lo ritengo un’ottima conclusione del mio percorso universitario e non
solo. Lo considero un buon punto di partenza per capire come continuare a
operare in quest’ambito. Sicuramente ci darà un bagaglio umano impagabile, che
custodiremo con cura sia durante che alla fine dell’esperienza.
Come mai hai scelto
proprio questo progetto?
In realtà inizialmente non mi sono concentrata
troppo sull’area geografica, perché lo ritenevo rilevante fino ad un certo
punto. Ho letto svariati progetti del bando, con lo scopo di trovarne uno che
fosse concreto, in cui credere e rispecchiarmi. E la scelta è ricaduta su
“Dignità e Pari Opportunità per le Donne a Pikine est”. Devo ammettere
che già avevo puntato gli occhi su questa iniziativa due anni fa. Ora che ho
l’occasione di partecipare, sono sia emozionata che curiosa all’idea di
partire. Non ho mai partecipato a esperienze di questa portata, per cui non ho
idea di cosa aspettarmi. Parto senza alcuna presunzione, lasciando la mente
sgombra per poter accogliere ciò che Pikine, il Senegal e le persone che
incontrerò avranno da offrirmi. So come parto, ma non so come tornerò, ma forse
alla fine è un po’ questo il bello, no?
Come mai il servizio
civile e non il volontariato?
Già durante gli anni del liceo avevo cominciato ad informarmi
nell’ambito del volontariato, anche se la ritengo un’esperienza un po’
limitante da un certo punto di vista. Il servizio civile lo ritengo credo sia più completo. Tutti
partiamo con una buona progettualità alla base, avremo tutto il tempo di
capire e calarci nel contesto in cui vivremo per un anno. È anche un’ottima
occasione per acquisire competenze e conoscenze in più, spendibili in un futuro
contesto lavorativo, che, per quanto mi riguarda, spero continui nell’ambito
della cooperazione.
Avrai anche il tempo di
confrontarti con te stessa. Ti spaventa?
In effetti il confronto più duro è e sarà proprio con sé stessi.
Ad essere sincera, non mi spaventa, anzi forse è proprio quello che cerco.
Queste esperienze aiutano a capire i propri limiti. So di non essere perfetta,
conosco quali potrebbero essere i miei punti di forza e quelli su cui lavorare.
Per farlo però ho necessità di mettermi in gioco su più livelli e avere gli
stimoli necessari per lavorare su me stessa, migliorarmi e arricchirmi. Quale
occasione migliore di questa.
Hai mai fatto esperienze
lontano da casa?
Come ti raccontavo, ho frequentato l’università da fuori sede e ho
la fortuna di considerare Gorizia la mia seconda casa. È una città che mi ha
dato molto e a cui sono infinitamente grata. Oltre ai legami che mi sono
creata, vivere fuori casa mi ha permesso di acquisire più consapevolezza di me,
mi ha spronato ad alzare l’asticella sempre un po’ più in alto e a guardare
sempre più lontano. Per cui ho cercato di cogliere sempre più occasioni per
mettermi in gioco e trovare ispirazione altrove. Ho fatto l’Erasmus a Vienna,
altra tappa fondamentale per me. E verso la fine della triennale sono partita
con una Associazione per partecipare a un campo internazionale sui diritti
umani. Ho accompagnato quattro adolescenti italiani a Brasilia, dove abbiamo
trascorso un mese con undici altre delegazioni da altrettante parti del mondo.
L’obiettivo era avvicinare i ragazzi alle tematiche relative alla tutela dei
diritti umani attraverso attività ludiche, tutto in uno spirito di conoscenza e
condivisione di culture diverse. È stata sicuramente un’esperienza forte e
intensa che mi ha insegnato tanto. Ho avuto modo di impiegare tutta me stessa
al 300%, anche le risorse e le energie che non credevo di possedere. E anche in
quel caso le persone che hanno condiviso il periodo con me sono state
fondamentali nel renderlo così unico. Per questo ne parlo sempre con molta
commozione e nostalgia. Una volta provate, sono sensazioni di cui è davvero
difficile fare a meno. È una continua sfida con sé stessi e la cosa bella è che
non affronti mai questa sfida da sola. Tutti coloro che incontri contribuiscono
in qualche modo a quello che diventerai, più o meno consapevolmente, e nella
relazione con gli altri definisci ciò che sei, in un’evoluzione continua.
Parlami dei tuoi affetti,
di come hanno reagito alla notizia del servizio civile
Nata a maggio, da buon toro quale sono, tengo molto agli affetti e
ai miei legami. Di natura mi affeziono abbastanza facilmente ai luoghi e alle
persone e tendo a dare fiducia fin da subito, cercando di mostrarmi nel modo
più trasparente possibile. Ho la fortuna di avere tanti punti di riferimento
nella mia vita. I miei genitori in primis, a cui sono molto grata per tutto
l’appoggio e la fiducia che mi hanno sempre dimostrato, anche e soprattutto in
questa occasione. Chiaramente le amicizie hanno un ruolo determinante nella mia
vita e con loro ho un confronto continuo, fondamentale. Poi c’è Lele, che
considero la mia costante e il mio porto sicuro, e questo è impagabile.
Insomma, come puoi capire, dò molto peso alle relazioni che vivo e sono sempre
pronta a fare spazio nella mia vita.
Come ti trovi con i
compagni con cui partirai? Conoscevi già qualcuno?
Conoscevo già Umi nel contesto universitario e per caso abbiamo selezionato lo stesso progetto. Siamo una bella coppia e non nego che la sua presenza mi trasmette più tranquillità. Chiaramente un po’ di agitazione relativa alla partenza ci sta, ma conoscere le persone con cui partirò mi dà l’entusiasmo e la carica per intraprendere questa nuova avventura. Comunque sia, comunque vada sarà un successo, perché non torneremo mai come siamo partiti.
a cura di Agata Cantaroni
Anamaria
Savianu (Progetto
CIPSI-COSPE, Senegal: “Dignità e pari opportunità per le donne di Pikine est e
Dakar”)
FARSI LE
DOMANDE GIUSTE
Anamaria,
classe 1992, viene da Motta di Livenza (TV). Ha studiato lingue per tutta la
vita. Prende le redini della situazione e risponde sicura e trasparente alle
mie domande. Cintura nera di karate, appassionata di poetry slam e cinema. Si
circonda di musica, di tutti i tipi, adora particolarmente quella dal vivo.
Canta spesso… e volentieri.
Ciao
Anamaria, mi parli un po’ di te?
Allora,
sono Anamaria…
Con una
“n”?
Sì esatto.
Ho 27 anni appena compiuti. C’è anche un secondo nome, che è Roxana. Sono nata
in Romania. Mi sono trasferita in provincia di Treviso a undici anni, assieme a
mia madre e a mia sorella. Mio padre era già in Italia da tempo. Ho studiato al
liceo linguistico e poi in triennale ho fatto mediazione culturale. Poi mi sono
poi iscritta a una doppia magistrale, tra Bergamo e Lione, in Lingue per la
Comunicazione e la Cooperazione Internazionale. Per laurearmi dovevo fare uno
stage di minimo quattro mesi e ho scelto di andare in Camerun. Mi sono laureata
a marzo 2019 e da allora ho cercato diverse opportunità a Roma, visto che
soffro un po’ la provincia, in attesa del bando del Servizio Civile.
Quando sei
arrivata a Treviso a undici anni come hai vissuto il cambiamento?
Ero ancora
una bambina, avevo i biglietti delle mie amichette che dicevano “Ci mancherai
tantissimo”. Siamo arrivare senza sapere l’italiano, d’estate, e mi ricordo che
ci iscrissero al centro estivo. Mia sorella era molto espansiva, la bambina di
tutti, mentre io, fin da piccola, ero timida e ho sofferto un po’. Poi in un
semestre a scuola ho recuperato. Non ho avuto grandi traumi se non quelli
iniziali. Sai, siamo cresciute in una casa in mezzo al verde con un grande giardino
e poi siamo arrivate in questa cittadina di provincia, a vivere in mezzo ai
palazzi. È stato un cambiamento importante.
Le lingue
che hai scelto di studiare, te le sei portate dietro, le hai cambiate?
Ho studiato
prima francese e tedesco e poi ho scelto rumeno come terza lingua, perché a casa
mia si parla in dialetto e volevo perfezionarla come lingua. Poi alla
magistrale ho cambiato e ho fatto inglese e francese perché non volevo smettere
di esercitarmi con l’inglese. Cerco di non perdere il tedesco, ma è una lingua
difficile. Ci tengo molto ad imparare il wolof (una delle lingue del Senegal, ndr). L’aspetto linguistico mi piace un
sacco. Ho iniziato un po’ a masticare il fufulde quand’ero in Camerun e capivo anche
quando sparlavano di me!
Dopo solo
tre mesi?
Sì, stavo da
una famiglia del posto, parlavano fufulde tutto il giorno e l’ho assimilato in
fretta. Non assomiglia a nessuna lingua che conosco. Anche per questo vorrei
imparare il wolof. In realtà vorrei imparare tutte le lingue del Senegal ma
credo sia impossibile, quindi ci accontentiamo.
Nei tuoi
studi sulle lingue c’è stato anche qualche approfondimento riguardante il
linguaggio di genere?
Sono
fortemente legata a questo tipo di discorso anche se non è stato un tema
direttamente legato ai miei studi. La mia migliore amica è una femminista
supersfegatata, quindi ho appreso molto da lei. Però mi interessa un sacco
tutto quello che riguarda la questione di genere, ad esempio tendiamo a dire
“la segretaria” o ci immaginiamo che alcune professioni siano prettamente da
donna o da uomo. Mi interessa anche l’aspetto dell’estrema sessualizzazione
della donna ed è una delle cose che davvero mi infastidiscono di più. Lavorerò in
un progetto riguardante le donne e le pari opportunità, ma sono consapevole che
la mia sia un’idea e che vada bene per la società in cui viviamo qua. Per un
discorso di pari opportunità e sviluppo non sono molto sicura che le mie idee
vadano bene e se la società in cui ci andiamo ad inserire poi le accetti. Io ho
una certa visione del mondo e sto cercando di portarla con me. Non ho però la
capacità di giudicare migliore la mia visione rispetto ad altre possibili visioni.
Il grande dubbio che ho è se quello che farò avrà un impatto sulla società. Chi
lo dice che sarò io a portare delle migliorie al modello sociale? Prima di
partire per il Camerun mi sono detta: “Io adesso ho le mie idee, non parto per
cercare delle risposte ma per capire se le mie domande sono giuste”. Quando
sono tornata però, mi sono resa conto che ero ancora più confusa di prima, che più
vedi, più sai e più ti poni delle domande e dici “se non so neanche fare le
domande giuste, come faccio a propormi come soluzione?”. Poi mi rendo conto che
questo lo sapremo solo a ottant’anni, forse.
Hai detto
che sei venuta a Roma poco tempo fa, aspettando i bandi del Servizio Civile
Universale. Quindi era un obiettivo importante?
Sì, esatto.
Siccome la Cooperazione Internazionale mi interessa davvero tanto, il Servizio
Civile era fondamentale per me per fare un po’ di esperienza sul campo e vedere
meglio come funziona da dentro, assistere ai progetti e alle dinamiche della
cooperazione.
Nel
progetto che hai scelto hai deciso di andare a Dakar, quindi hai scelto
l’aspetto diciamo più “amministrativo” del progetto. Perché?
Principalmente
perché mi interessava il COSPE e in particolare una delle attività del progetto.
Sono affascinata dalla valutazione che si lega all’idea dell’impatto che puoi
avere là. Siccome mi vedo specializzata in valutazione del progetto in futuro,
ci tenevo molto. Per me è una cosa importante a livello professionale. Poi c’è
l’aspetto sorella, siccome lei è stata presa a Pikine Est, io ho scelto Dakar.
Quindi
parti con tua sorella?
Esatto. È
venuto un accidente a nostra mamma quando ha saputo che partivamo insieme, ma
in fondo è abituata. Io sono una girovaga, sono stata dappertutto. Però sono
anche quella responsabile e il fatto che ci sono io la tranquillizza. Mia
sorella voleva partire con lo zaino in spalla e invece l’ho convinta a fare il Servizio
Civile. Ho un lato molto protettivo verso le persone e quindi ci tengo ad
essere presente se ce n’è bisogno. Però penso sia importante che lei si viva la
sua esperienza, anche per scoprirsi e mettersi alla prova. È giusto che crei i
suoi legami e che io sia lì, però non in casa con lei.
Come ti
vedi dopo il Servizio Civile, che cosa vorrai fare?
Sicuramente
so di aver bisogno di un po’ di riposo, è dal terzo anno di triennale che non
sono stata per più di un anno nello stesso posto. Quindi potrei anche pensare
di scegliere un luogo in cui fermarmi. Professionalmente mi interessano il
monitoraggio e valutazione dei progetti e sicuramente voglio ricominciare a
studiare, forse Psicologia Sociale oppure Sociologia.
Che cos’è
che ti dà forza nell’esperienza che stai per vivere?
Sto
scoprendo di essere una persona estremamente empatica, forse è una cosa che ho
sviluppato viaggiando. Mi sento in grado di creare dei legami positivi e spero
che lo sia ancora di più in questa situazione. Mi piacerebbe sviluppare delle
relazioni al di là di tutte le differenze, capirsi veramente con le persone di
cui mi circondo. Non vedo l’ora di scoprire che cosa mi riserverà
quest’avventura.
A cura di Cecilia Ferraro
Andrea Briamo (Progetto
EDU-DAC, Senegal: “Salute: stop malaria e consultorio femminile a Pikine Est”)
UNA VITA
DA NOMADE
Ho conosciuto Andrea durante il corso di formazione generale, ma non
abbiamo avuto modo di interagire troppo finché non siamo stati sorteggiati per
intervistarci a vicenda. Dal momento in cui abbiamo iniziato a confrontarci, mi
sono sentito a mio agio con lui. La passione per il viaggio ci accomuna e ci ha
messo in sintonia, e infatti l’intervista si è subito trasformata in una
chiacchierata tra amici. Ho avuto l’impressione di avere a che fare con un
ragazzo aperto, abituato a incontrare persone nuove e genuinamente interessato
a conoscerle. L’empatia e la determinazione che Andrea sprigiona dimostrano quanto
la scoperta, e la curiosità per il diverso, siano importanti per capire meglio
se stessi e il mondo che ci circonda.
Ciao Andrea, presentati e
raccontaci un po’ di te.
Sono Andrea Briamo, ho 29 anni sono originario della Campani. Vivo a
Bergamo con i miei genitori, anche se molto spesso mi trasferisco all’estero perché
amo viaggiare, è la mia passione principale. Ho vissuto a Londra, ma anche a Madrid,
Valencia e Parigi, sia per motivi di studio che di lavoro. Ho studiato lingue e
letterature straniere nella triennale e lingue e progettazione turistica nella
magistrale, all’Università degli Studi di Bergamo. Nel frattempo, ho svolto un
Erasmus di un anno a Madrid alla Complutense, e poi alla fine della magistrale
ho fatto un tirocinio in una scuola privata di lingue a Valencia. Oltre
all’italiano e all’inglese, parlo spagnolo, francese e nell’ultimo anno ho
iniziato a studiare portoghese. Mi piace stare con amici, bere e mangiare con
loro, cucinare, leggere, fare teatro, scrivere diari delle mie sensazioni,
suonare e ballare!
Nell’ultimo anno sono rimasto fermo a Bergamo per un’operazione chirurgica
al ginocchio, lavorando come insegnante di lingue online. In questo modo sono
riuscito a slegarmi dai vincoli dell’ufficio e a vivere anche l’operazione in
maniera più tranquilla, perché ho potuto continuare a lavorare, mettere soldi
da parte e pensare a nuovi progetti, come quello del Servizio Civile Universale
che tra poco inizierà.
A proposito del Servizio
Civile, spiegaci perché hai scelto di partecipare a questo programma, su quale
progetto andrai a lavorare e perché hai scelto proprio quello.
Ho scelto di partecipare al Servizio Civile perché inizialmente l’ho
visto come un’opportunità per seguire quella che è la mia più grande passione,
ovvero viaggiare e conoscere nuove culture, e per poter fare il grande passo di
uscire dall’Europa. Inoltre, per questioni di età, questo è l’ultimo anno in cui
avrei potuto partecipare. Ho deciso quindi di lanciarmi, e per fortuna mi è
andata bene. Inizialmente è stato difficile scegliere il progetto, perché prima
ho cercato a livello geografico, di destinazione. Quando ho visto che cercando
così non riuscivo a trovare nessun progetto che mi convincesse, ho iniziato a cercare
per attività e obiettivi del progetto. Così facendo ho iniziato a trovare delle
cose interessanti soprattutto in Africa, che precedentemente non avevo
considerato come destinazione. Inizialmente mi sono candidato per un progetto
educativo in Senegal, solo che essendo arrivato terzo in graduatoria non sono
stato selezionato. Dopo un paio di settimane sono stato chiamato per
partecipare al progetto, sempre in Senegal, però non servizio educativo ma
sanitario, di lotta alla malaria.
Parlaci della tua passione
per il viaggio, da cosa è nata?
Viaggiare è la mia passione principale, perché non so ancora chi sono e
sono profondamente determinato a scoprirlo. Cosa fa parte di me e cosa no. Viaggiare
è la cosa migliore che ho scoperto per intraprendere questo processo di
conoscenza e completezza di chi sono, perché quando viaggio, sia nel mondo
visibile che in quello intangibile delle culture e delle persone, scopro anche quali
sono le mie caratteristiche interiori, che magari non conoscevo o credevo
fossero sbagliate. Grazie alle altre culture invece riesco a vedere queste
caratteristiche da un altro punto di vista, assimilarle, e anche a lasciare il
superfluo. Questo è ciò che riesco a fare viaggiando, prendo il meglio, ciò che
mi risuona dalle culture e dalle persone, lasciando quello che non si armonizza
con me. In questo modo scopro sia bei paesaggi, cibi deliziosi, persone
stupende, ma soprattutto conosco me stesso e mi faccio conoscere dagli altri.
Rispetto a questa tua
passione, cosa ti aspetti dall’esperienza del Servizio Civile, riguardo al
lavoro, alle persone, e al contesto completamente nuovo?
Principalmente mi aspetto una diversità alla quale non sono preparato,
con la quale non vedo l’ora di confrontarmi. Fino ad oggi le diversità che ho
incontrato sono state comunque non molto distanti dalla mia. Le diversità che
spero di incontrare con il tempo riguardano la cultura, gli ambienti, le
persone, i luoghi, quello che sarà visibile agli occhi, ma anche quello che non
sarà immediatamente visibile. Spero di fare diverse esperienze attraverso
questo progetto, anche a livello professionale. Spero di fare pratica e potermi
mettere in gioco in contesti nuovi che non ho ancora provato, e magari un
giorno mettere queste competenze sul curriculum a servizio di nuove esperienze.
Ovviamente sarà molto interessante anche l’incontro con altre persone
che provengono dalla mia stessa base, l’Italia. Provare un’esperienza di
convivenza, di collaborazione, di lavorare così a stretto contatto. Sono abituato
a vivere a contatto con altre persone, ma fino ad ora c’è sempre stata una
divisione tra vita privata e lavoro. Qui invece, le cose inizieranno a
mescolarsi e sono molto curioso di come andrà. Spero di creare dei bei rapporti,
anche per il futuro. Conoscendomi, un primo momento di shock sarà abbastanza
prevedibile e sarà da affrontare, arrivando in un posto in cui ancora non ho
trovato l’occasione di affezionarmi alle persone, alle abitudini e ai contesti
appena scoperti. Trascorso questo periodo, come al solito, trarrò il meglio sia
dalle relazioni che dalle attività, perché sono sempre stato una persona attiva
che ha voglia di sperimentare. Ho voglia di costruire, con una volontà
positiva, insieme ai colleghi e alle persone che conoscerò sul posto.
Ultima domanda: ti chiederei
di parlarmi dei tuoi progetti e obiettivi futuri, e di come ti vedi tra un
anno, una volta conclusa questa esperienza.
Sicuramente sarò una persona più realizzata rispetto ad adesso, perché
questa è un’esperienza che volevo vivere. Avrò ascoltato me stesso e realizzato
un qualcosa che mi chiedevo da un po’ di tempo. A livello pratico, cercherò di
portare avanti alcuni progetti, sempre legati al viaggio, come un giro del
mondo che sto progettando da tempo. Sono sicuro che questa esperienza del Servizio
Civile mi aiuterà molto ad entrare in contatto con delle culture diverse alle
mie, anche molto lontane. In effetti credo che l’Africa sia una palestra non
indifferente in questo senso, e grazie a questo anno di esperienza nell’ambito
potrò partecipare ad altri programmi come il Servizio Volontario Europeo o i
Corpi di Solidarietà Europei. In sostanza vorrei accumulare esperienza
nell’ambito e approfittare di opportunità per dare vita al mio progetto più
grande, che è quello di vivere, almeno nei prossimi anni, una vita da nomade.
a cura di Alessandro Fusi
Simona Gabrielli (Progetto La Vita
Per Te, Madagascar: “Il diritto alla salute in Madagascar: una frontiera da
conquistare”)
SIMONA: L’OSTETRICIA, L’AFRICA, LO SCAMBIO
Simona, ragazza solare e abbastanza
estroversa, ha 25 anni ed è di Parma. In questi giorni di formazione generale e
attraverso questa intervista capisco che sa far valere le proprie idee con
tenacia, che sa adattarsi con facilità alle varie situazioni e alla compagnia
con cui si trova e che è una persona sensibile, empatica, disponibile verso il
prossimo. Lei ama l’Africa.
Quali sono i tuoi hobby?
Mi piace cantare, suonare, camminare, scoprire
e viaggiare.
Hai preso lezione di canto? Quali strumenti
hai suonato?
Sì, ho preso lezioni di canto per alcuni
anni. Ho suonato il pianoforte e ho iniziato a suonare la chitarra non
riuscendo ad imparare bene per mancanza di tempo e ora voglio assolutamente
portarmi l’Ukulele in Madagascar per impararlo a suonare.
Ti piace camminare, hai mai fatto trekking di
lunga durata?
Ho fatto il cammino di Santiago, in Spagna, il
percorso portoghese per l’esattezza, e la Via degli Dei in Italia, quella che
va da Bologna a Firenze.
Che viaggi hai fatto nella tua vita? Dove sei
stata?
In primo superiore per tre settimane sono
stata in Cina a trovare un’amica ed è stata la mia prima esperienza fuori
dall’Europa. Durante la quarta superiore sono stata tre mesi nel Nord
dell’Australia come exchange student. Poi ho svolto varie vacanze studio
nel Regno Unito e una a New York. Ho viaggiato poco in Europa, ma molto in
Italia, soprattutto nel Sud, per esempio nel Salento per più volte e in molte
città del Centro Italia. Durante il mio percorso universitario poi sono stata
per due volte in Africa, prima in Senegal e poi in Tanzania, e per la terza
volta, grazie al Centro dei missionari di Parma, in Etiopia.
Quale percorso di studio hai seguito?
Ho frequentato il liceo scientifico EsaBac,
che mi ha permesso di conseguire simultaneamente il doppio titolo
italiano-francese, cioè il diploma di Esame di Stato e il Baccalauréat.
In seguito, sempre a Parma, dopo un anno di “Tecniche
della prevenzione nell’ambiente nei luoghi di lavoro”, anno in cui ho lavorato
anche come cameriera in un ristorante, ho deciso di cambiare e frequentare la
facoltà di ostetricia.
Come mai hai scelto ostetricia?
A piacermi molto e ad indirizzarmi verso
questa scelta è stata l’idea di seguire la maternità e tutto ciò che essa
comprende, a partire dalla gravidanza. Non tanto l’evento nascita, quanto
piuttosto l’attesa, la scoperta e la psicologia della donna
coinvolta,
cosa che continua a piacermi tutt’ora.
Parlami delle tue esperienze all’estero
durante il tuo percorso universitario.
Durante il secondo anno, sono riuscita ad
andare in Senegal per due settimane con delle ostetriche che seguivano un
progetto sui tumori uterini e lì mi sono innamorata per la prima volta
dell’Africa. Al terzo anno, infatti, sono tornata andando in Tanzania per tre
mesi grazie al progetto Overworld, svolgendo un tirocinio in cui sono
stata affiancata da una tutor locale. Durante questa esperienza è stato molto
significativo per me che i locali abbiano capito che io non ero lì per formare
ma per apprendere. Da quel momento non hanno avuto più pregiudizi nei miei confronti
e di conseguenza non mi sono più sentita una “white savior”, cioè l’uomo
bianco che viene visto come un salvatore.
Attraverso questi due progetti ho
conosciuto un
modo di fare cooperazione che non mi piace e che non sento mio: quello per cui
si pensa legittimo imporre la propria cultura agli altri non curandosi delle
reali esigenze.
Dopo la laurea che cosa hai fatto?
In seguito, mi sono trasferita a Firenze per
il master in “Medicina tropicale e salute globale” nel quale ho maturato ulteriormente
il mio interesse per il mondo della cooperazione, soprattutto attraverso lo
studio dell’antropologia. Così mi sono resa conto di come esistano prospettive
diverse e come ciò che si crede e l’importanza che si attribuisce a certe cose
è relativo a seconda del modo di pensare sviluppatosi in relazione alle varie
popolazioni, e appunto di come non esista un unico filone di idee per riuscire
a migliorare le cose.
A tal proposito mi piacerebbe molto, dopo
l’esperienza di servizio civile, iscrivermi a un corso di laurea magistrale in
antropologia per approfondire il mio interesse verso questa meravigliosa
disciplina.
Oltre le esperienze in Senegal e Tanzania che
fanno capo a un modo che non senti tuo di cooperare, come è stata l’esperienza
in Etiopia?
Quando ho avuto l’occasione di conoscere il
Centro Missionario di Parma, mi sono finalmente confrontata con uno stile
diverso di cooperare, quello dei missionari, i quali fanno missioni anche per
tutta la vita e lo fanno senza l’intento di volere imporre la propria cultura e
la propria religione, ma con quello invece di scambio reciproco di culture, volendone
scoprire di nuove stando a contatto con le persone locali. Così da qui è nato
il mio desiderio di partire per fare un’esperienza di missione che si è
concretizzato nella mia ultima e recente avventura in Etiopia, che corrispondeva
di più alla mia idea di fare cooperazione, attraverso lo scambio reciproco.
Cosa ti è piaciuto di più del “continente
nero”?
Attraverso le tre esperienze in Africa ho
capito sempre di più quanto mi piace il loro modo vi vivere insieme, basato
sulla comunità e non sull’individuo, come accade in Occidente. Questo
mi fa sentire a mio agio e mi premette di vivere senza usare maschere, essendo e
ritrovando la vera me stessa.
Oltre questo cosa ti ha insegnato l’Africa?
Ho capito e sono sempre più consapevole di
dover dare più importanza a quello che noi abbiamo relativamente alle
condizioni privilegiate in cui viviamo, come per esempio il semplice fatto di
andare a scuola.
Infine vivendo lontano dalla mia famiglia e
dalle persone care sono più consapevole della loro importanza.
Cosa ti aspetti dall’esperienza di servizio
civile dal punto di vista del tuo modo di voler cooperare?
Ho fatto domanda per il servizio civile prima
di partire per l’Etiopia,
esattamente per il progetto “Il diritto alla salute in Madagascar: una
frontiera da conquistare” e sono stata selezionata. Volendo tornare in Africa
per un periodo lungo ho accettato, ma non nascondo di avere avuto dal primo
momento qualche dubbio relativo allo stile di cooperazione del civilista in
generale, con la paura di ripetere le esperienze negative in questo senso in
Senegal e Tanzania. Il secondo giorno di formazione, però, ho trovato risposta,
quando mi hanno spiegato la mission e il metodo di lavoro del CIPSI, che è un ente
non religioso che mira alla condivisione e allo scambio, secondo il mio modo di
vedere la cooperazione spiegato prima.
Quindi, cosa pensi sia essenziale in
relazione al progetto per cui sei stata selezionata?
Riguardo al progetto, relativo più precisamente
alla prevenzione dei tumori uterini e tumori femminili in generale e alla
malnutrizione femminile, credo che sia molto utile avere uno scambio con gli
operatori locali, capire quali sono le varie esigenze e possibilità e far
partire il cambiamento proprio da loro.
A cura di Luca Vento
Lorenzo Attachi (Progetto di AMU-AFN: “Promuovere la cittadinanza globale dei giovani”)
DARE TUTTO PER UN SORRISO
Ho avuto il piacere di conoscere Lorenzo, un ragazzo
calabrese di 19 anni, che abita a Gioiosa Ionica e si è diplomato da poco al
liceo artistico di Siderno, all’indirizzo architettura-ambiente.
È appassionato di moto, Valentino Rossi è il suo idolo
e in passato giocava a calcio.
Lorenzo è una persona che vuole dare molto e non
aspetta mai di ricevere qualcosa in cambio. Un ragazzo estroverso, in grado di
coinvolgerti con la sua effervescenza e la sua allegria.
Lorenzo cosa fai oggi?
Oggi sono al primo anno di una triennale in ingegneria
meccanica. L’ho scelta perché, alla fine della terza superiore, mi sono reso
conto che il lavoro dell’architetto è poco richiesto. Non dico che non c’è il
lavoro per chi lo vuole fare, però la strada per arrivarci è molto lunga e
tortuosa.
Che lavoro ti piacerebbe fare?
Un giorno spero di lavorare in un team motoristico,
perché ho una grande passione per il motociclismo. Ho una mia moto e sono uno
scout da quando avevo 8 anni. Ho sempre amato fare nuove esperienze sia in
Italia che all’estero. Ho fatto un’esperienza in Giappone per 15 giorni. Mi
piace la natura, l’avventura e mi piacciono tutti gli sport estremi. Ho una
passione anche per i viaggi, che mi permettono di conoscere nuove culture. Mi
piace mettermi in gioco ed essere al servizio degli altri, non mi aspetto
qualcosa in cambio, mi basta un sorriso onesto. Mi interessa conoscere la
cultura africana, specialmente quella più vicina all’Equatore, che appare più
antica e nobile anche se noi la definiamo spesso in modo sprezzante. Mi piace
anche la cultura asiatica.
C’è qualcosa che ti fa fastidio?
Non sono una persona ordinatissima, mi dà fastidio che
si tocchino le mie cose. Sono una persona che riesce a confrontarsi, abbastanza
bene, con gli altri. Se abbiamo opinioni diverse non sono la persona che ti va
contro, ma cerco di vedere la tua opinione e di trovare un incontro.
Perché hai scelto di fare il servizio civile?
Ho fatto la domanda perché mi è stata proposta da mia
madre, che ha letto il bando e me l’ha condiviso. Mi sembrava una cosa
interessante e ho deciso di provare. Non è un argomento per me totalmente
nuovo, perché i miei genitori sono degli scout, quindi il volontariato è stato
sempre qualcosa che accomuna la mia famiglia.
Parlaci meglio del tuo progetto, come si chiama e di
cosa si occupa?
Il nome del progetto è AFN, che significa AZIONI PER
FAMIGLIE NUOVE e si occupa di adozione internazionale e adozione a distanza. È
associato ad un altro ente, che si occupa di minori stranieri non accompagnati.
Il mio progetto prevede un impegno di 9 mesi in Italia e 3 mesi in Portogallo.
Cosa pensi della nostra società e dell’immigrazione?
L’aspetto sociale è una parte importante delle nostre
vite, perché ti apre gli occhi su nuove prospettive, per una rinnovata visione
del mondo. Lo scambio e il dono sono fondamentali per l’umanità, perché
purtroppo stiamo diventando una società che, all’apparenza sembra aperta,
quando in realtà abbiamo un passato pieno di grandi crisi, di nazismo, fascismo
e guerre mondiali. Alla fine, però, prevale una chiusura. Ad oggi sembra che il
problema principale sia l’immigrazione in sé, io credo che il problema sia
interno alle nostre società, che non sono in grado di dare una risposta e a
garantire le stesse opportunità a tutti.
Cosa pensi del volontariato?
Il volontariato è una grande sfida che spero di poter
portare avanti anche negli anni successivi.
Che cambiamenti ti aspetti dopo questa esperienza?
Non mi aspetto mai grandi cambiamenti per me stesso,
però mi aspetto di arricchire il mio bagaglio culturale.
Pensi che ripeterai questo tipo di esperienza di
volontariato.
Spero di sì. Ho fatto più volte di volontariato per la
Caritas e, ultimamente, ho fatto vari incontri con associazioni che si occupano
dell’accoglienza dei migranti.
Cosa pensi degli immigrati in generale?
Per me l’immigrato bisognoso deve essere accolto, deve
avere una prima assistenza e deve essere integrato nella società. Bisogna
creare contesti di lavoro per lui e per tutti gli altri cittadini in egual
modo.
Grazie per l’intervista.
a cura di Raja Mraihi
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