Raccontare il vivere al tempo del coronavirus (3)

Tra online e offline
di Iolanda Santoliquido

Il coronavirus
bussa alle porte del mondo. Un ospite indesiderato, curioso di lingue e culture
diverse, ci costringe a restare a casa e ad allontanarci, in maniera fisica, da
quello che dovrebbe essere uno dei luoghi più sicuri: la scuola. Il 98,4% della
popolazione studentesca mondiale è coinvolta: sono 191 i Paesi che hanno chiuso
le scuole a livello nazionale e 5 a livello locale. (COVID-19 Educational
Disruption and Response – UNESCO
).

Per affrontare questa
difficoltà, i governi hanno puntato sulla tecnologia, di cui si fa largo uso
tra le generazioni più giovani e alla quale gli insegnanti sembrano aver
risposto in maniera positiva. D’altronde, le alternative non sono molte – o
meglio, quasi nulle. In effetti, i dispositivi di apprendimento sono molto
limitati: non tutti possono permettersi un computer, uno smartphone o una buona
connessione ad internet, così le disuguaglianze sociali si accentuano e si cade
nello sconforto. In tutto il mondo, i più giovani si trovano di fronte ad un
grande ostacolo, difficile da sopportare.

Secondo le statistiche
dell’Internet World Stats, è l’Africa ad avere il minor tasso di diffusione di
rete internet, il quale è al 39,3% sulla popolazione totale (a seguire c’è l’Asia
53,6%, l’Oceania/Australia 67,4%, l’America Latina/Caraibi 68,9%, il Medio
Oriente 69,2%, l’Europa 87,2% e il Nord America 94,6%).

La connessione utilizzata nel
continente è molto legata all’utilizzo dello smartphone ed infatti, le
piattaforme leggere come WhatsApp o altre applicazioni, alcune disponibili
anche da offline, sono diventate un’ottima alternativa alle videolezioni, che
non sono raggiungibili da tutti. Per chi non può permettersi uno smartphone, i
governi utilizzano i programmi televisivi e radiofonici, per accompagnare
quotidianamente gli studenti, sottovalutando che perfino in città non ci sono
TV in tutte le case ed i bambini dipendono dai vicini per seguire le lezioni.

Nessuna soluzione per chi non
ha alcun tipo di mezzo, per chi in casa non ha elettricità ed ha sempre
studiato con una lampada a petrolio. Inoltre, con scuole e biblioteche chiuse
spetta alle famiglie facilitare l’apprendimento scolastico dei bambini, ma
diventa molto difficile per i genitori che non hanno ricevuto un’istruzione. È
per questo che la CONASYSED (Convention Nationale des Syndicats du Secteur Éducation
– Gabon) considera questo insegnamento “inegualitario e discriminatorio” e sono
molti i paesi in Africa che considerano di prolungare l’anno scolastico per
recuperare le settimane di assenza.

Ma quali rischi comporta
questa sospensione scolastica? I dati raccolti dopo l’ebola mostrano
conseguenze molto negative. L’abuso minorile, le gravidanze precoci e
l’abbandono scolastico di numerosissimi bambini dopo la riapertura fanno
pensare ad alcuni che, forse, la chiusura delle scuole non è la migliore
strategia per questo continente. I bambini perdono così servizi igienici,
nutrizionali e supporto per i diversamente abili dalle scuole che ne sono
fornite. Le mamme single devono lasciare il lavoro per prendersi cura dei
piccoli e la situazione peggiora. È vero, inoltre, che l’efficacia di questo
isolamento dipende molto dai contatti che i bambini mantengono fuori scuola e,
in assenza di un coprifuoco totale, si continua a giocare per strada, quando la
scuola potrebbe essere uno strumento di informazione per proteggere sé stessi e
la propria famiglia.

In definitiva, è necessario
non abbandonare i bambini in questo percorso, i quali si trovano in un periodo
fondamentale per il loro apprendimento e sviluppo. È essenziale che
l’insegnamento online e quello offline siano equilibrati su questa bilancia
sociale, che in realtà è ingiusta da tempo.

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Source: Cipsi

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