Afsane Darabi: “Finalmente mi sento una persona!”

Intervista ad Afsane Darabi di Maria Torelli e Debora Moliterno, volontarie del Servizio Civile Universale – Progetto Italia: “Costruendo ponti: integrazione scolastica per minori migranti” presso Solidarietà e Cooperazione CIPSI.

Afsane è una giovane donna di 21 anni nata in Iran che da un anno e mezzo vive a Roma con suo marito. Noi abbiamo avuto il piacere di conoscerla ad AltraMente- scuola per tutti e tutte, che Afsane frequenta da più di un anno per imparare l’italiano. Oggi, ci racconta il suo cammino per arrivare in Italia, le sue aspettative e le sue impressioni riguardo questa sua nuova parte della sua vita.

Ciao Afsane, puoi raccontarci della tua vita in Iran e del percorso che hai fatto per arrivare qui?

Ciao.

Io sono nata in Iran, lì vivevo insieme ai miei genitori, alle mie due sorelle e mio fratello. I miei genitori sono arrivati in Iran dall’Afghanistan da clandestini 5 anni prima che nascessi e siamo rimasti irregolari per un lungo periodo. Non avevamo i documenti, quindi in realtà non potevamo fare niente, neanche andare a scuola. Io e i miei fratelli non abbiamo mai studiato, quello che sappiamo ce lo ha insegnato mia mamma a casa: leggere e scrivere principalmente. In Iran ho lavorato in un negozio come commessa per 3 anni e quando ero più piccola andavo a fare le pulizie nelle case con mia madre. Dopo un po’ di anni, quando ne avevo 19, ho conosciuto mio marito e dopo 6 mesi ci siamo sposati. Ci siamo sposati in Iran, il prete è venuto a casa e in un minuto mi sono sposata. Mio marito è afghano e con il matrimonio ho preso anche io la nazionalità afghana.

E come sei venuta qui?

Ho fatto i documenti e, dopo un anno, ho comprato un volo per raggiungere mio marito in Italia, dato che lui vive qui a Roma da 15 anni.

Come ti immaginavi sarebbe stata la tua vita qui?

Molto difficile, perché non conoscevo la lingua ed è veramente una lingua complessa. Una volta arrivata ho capito che in realtà non è così, perché sono andata a scuola (qui ad AltraMente) per imparare l’italiano e ho imparato tantissime cose, ho imparato a parlare abbastanza bene. Inoltre, è stato difficile per me lasciare la mia famiglia, non sono mai stata così tanto lontana da loro. Questo è stato difficilissimo per me all’inizio, ma adesso va un po’ meglio.

E cosa avresti voluto fare in Italia? Qual era il tuo sogno?

Il mio sogno era quello di diventare una parrucchiera e di aprire un salone. Questo è ancora il mio sogno, magari tra qualche anno…

Visto che purtroppo non ne hai mai avuto la possibilità, adesso stai studiando?

Sì, certo. Sto imparando ancora la lingua italiana, sta andando molto bene, ho imparato in fretta, perché studio anche a casa. Mi piace tanto e ho tanta voglia di studiare. Da qualche settimana, mi sono iscritta alla scuola serale, frequento la terza media, voglio prendermi la licenza. Faccio tante materie diverse: matematica, italiano, tecnologia e molte altre. La mia preferita rimane sempre italiano perché le materie scientifiche sono le più complicate per me, ci sono troppe parole difficili che non capisco. In più, tra poco inizio a lavorare come commessa per qualche mese, grazie all’aiuto della comunità di Sant’Egidio che organizza dei programmi di integrazione per migranti.

Come ti trovi?

Molto bene, mi piace moltissimo studiare, è un po’ difficile ma mi impegno molto in questo.

Tu hai detto che in Iran non hai potuto studiare, come mai?

No, non ho potuto studiare perché non avevo i documenti e perché le donne non andavano a scuola prima.

Il fatto che tu non abbia potuto studiare ha influenzato la tua vita? In che modo?

Sì, molto. Io non sapevo scrivere, anche quando andavo a fare un colloquio di lavoro (che in Iran non sono come qui, sono meno complessi), quando mi davano quel foglio da compilare con i miei dati, i documenti che io non avevo, potevo soltanto andare via ed era l’unica cosa che mi veniva sempre detta. Quindi ho sempre fatto dei lavori domestici.

Senti, ma come ti trovi qui? Ti senti accolta in Italia? Pensi che sia un paese ospitale?

Sì, mi trovo molto bene in Italia perché qui ho i documenti, posso lavorare regolarmente e finalmente mi sento una persona. Una persona che può fare, può studiare, può lavorare e in Iran non era così. Mi sento ben accolta qui, non ho trovato difficoltà ad integrarmi per il momento.

Rispetto alla vita che conducevi prima in Iran, pensi che l’opportunità adesso di andare a scuola ti possa portare a qualcosa di migliore per il tuo futuro?

Sì. Innanzitutto, posso dire che ho studiato. Ed è una bella soddisfazione per me, non dire più “no, non ho mai studiato”. Poi cominciare a lavorare adesso per me è bellissimo. Posso essere indipendente, posso guadagnare, posso aiutare mio marito con le spese. Così mi sento bene, perché mi piace darmi da fare ed essere indipendente. Non mi piace stare a casa e fare i figli.

Probabilmente, ci saranno altre ragazze in Iran nella stessa situazione in cui ti trovavi tu, quale messaggio vorresti dare loro?

In realtà non lo so. È molto difficile per loro, perché io sono potuta venire qui perché ho sposato mio marito. Loro magari non hanno la mia stessa possibilità. Adesso in Iran c’è la scuola afghana in cui possono andare anche le bambine, ma è lontanissima, quindi è molto complicato arrivarci per le bambine. Mia mamma mi ha raccontato che possono studiare anche loro. Quando abitavo io lì non era così, io non potevo studiare.

Tu hai notizie di quello che succede in Iran e Afghanistan?

Io sono di nazionalità afghana, perché mi sono sposato con mio marito che è afghano, aveva i documenti ed era istruito. In Afghanistan ci sono i talebani, e per loro le donne non devono essere istruite. In Iran, adesso, danno i documenti agli afghani, ma solo se pagano, c’è molta corruzione. Io rimango sempre aggiornata su quello che succede ora in Afghanistan e in Iran perché ho la famiglia lì e in questo momento non è per niente facile.

Grazie Afsane per averci raccontato la tua storia.

Grazie a voi!

Il diritto allo studio rappresenta una delle basi fondamentali per la crescita di ogni individuo e per il progresso di una società intera. Quando una persona viene privata di questa opportunità, si compromette non solo il suo futuro, ma anche quello della collettività. La storia di una giovane donna che, in quanto donna, non ha avuto accesso all’istruzione, ci offre uno spunto profondo per riflettere su quanto l’uguaglianza di opportunità sia cruciale. La sua voce è silenziata non da un impedimento fisico, ma da un’ideologia che le nega la possibilità di sognare oltre i confini stabiliti. La sua privazione del diritto allo studio non è solo una questione di accesso a libri e insegnamenti; è una privazione della libertà di pensare in modo critico, di sviluppare la propria identità e di avere la possibilità di contribuire attivamente alla propria comunità.

La storia di Afsane, privata della sua libertà di imparare, è una storia di ingiustizia, ma anche di resilienza. Per ogni donna che non ha potuto studiare, c’è una sfida collettiva che riguarda tutti noi: quella di garantire che ogni individuo, indipendentemente dal genere, possa accedere all’istruzione e realizzare il proprio potenziale. La sfida, dunque, è quella di abbattere ogni barriera che ancora oggi impedisce alle giovani donne di accedere all’istruzione, affinché nessuna storia come questa si ripeta.

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