Parte seconda
di Niccolò Rinaldi
Il proverbio haitiano dice “i Grandi Dei non possono cavalcare piccoli cavalli”. Antigua lo smentisce. Due colossali navi da otto piani di cabine con balconi, più tutto il resto dell’ambaradan, sono attraccate nel lungo e solitario molo del porto e fanno ombra alla cittadina. Il loro popolo è già sbarcato, bruca nelle strade commerciali adiacenti che seguono il medesimo schema di Saint Kitts: negozi ripetitivi, i soliti prodotti: magliette e berretti, birre e pizze, bistecche e parei, sandali e tazze. Proprio le stesse cose solo con un altro nome impresso: qui è “Antigua”, “Antigua”, “Antigua”, in nome di un’identità nazionale che qua pare avere una delle poche occasioni per affermarsi, per essere riconosciuta.
Quando arriva la nave c’è un’aria di festa: si vende, si vede gente, c’è il pigia pigia. Resta un mistero il piacere di questo ritmo da crociera di massa: qualche ora ad Antigua, poi navigazione, altre ore nel prossimo scalo, variazione sul tema, e nel frattempo, a bordo, le stesse cose, le stesse lucine colorate delle slot machines seriali, acchiappaturisti ad Antigua e immagino (mai salito su una nave da crociera, che pure deve costituire un terreno d’esplorazione antropologicamente curioso) identiche acchiappa-passeggeri in questi condominii galleggianti. In tanta noia si rimpiange l’aria glamour e snob di quando la parola “crociera” evocava chissà cosa, l’esotismo e marittima dell’Orient Express ferroviario, intrighi e avventure. Non che sesso, liti e intrighi debbano mancare a bordo, tra un’isola e l’altra, ma l’idea è di un’umanità sfatta, di pensionati o più giovani quasi tutti obesi, senza cura di sé né dell’”altro”. L’obesità è un marchio di fabbrica, nei Caraibi la popolazione è in genere snella, anche se l’influenza nord-americana è arrivata eccome e le pance si allargano, ma nelle ore di approdo Antigua si popola di pance e bocche avvezzate ad abbuffarsi, in mare e in terra.
Pance non abituate a camminare: all’immobilità sulla nave fa seguito la pigrizia dello sbarco. Eppure, poco oltre la zona turistica pro croceristi, finalmente si erge un’Antigua pro loco. Dopo una breve salita si trova la solita, antica e scura chiesa circondata dalle lapidi secolari dei signori delle colonie: qua si paga il biglietto per entrare, la desacralizzazione ha varcato la soglia della trasformazione in museo. Il mercato centrale è a pochi minuti a piedi, ed è un altro pianeta, tornano improvvisamente frutti corposi e odori di spezie; i negozi per i locali (in uno ci compro un paio di calzini) si presentano improvvisi senza veli, piccole botteghe molte delle quali diffondono musica. Anche qua i cinesi tengono il banco.

I Grandi Dei all’ancora
Ma si va poco lontano, perché più di loro possono i due Grandi Dei all’ancora, che restano il centro di gravitazione sociale: nei giorni di sbarco, che ad Antigua, mi dice un ragazzo, sono 365 all’anno, il baricentro si sposta tutto tra le insegne di legno in colori pastello della cittadella per le crociere, fulcro dell’economia, il luogo dove girano i soldi. La dicotomia è netta e le se la navi sono state bandite da Venezia perché ne rovinavano le fondamenta, costà beneficiano di rapporti di forza economici e politici tutti a loro vantaggio, dato il potere delle compagnie e la piccola dimensione degli stati, e così alterano l’intera economia, con un impatto severo non solo sull’ambiente marino e terrestre, ma sulla vita delle comunità. Parole come “sostenibilità”, “conservazione”, “coinvolgimento”, “preservazione della cultura locale”, appartengono a un dizionario in via di estinzione.
Il Nobel dei Caraibi non riconoscerebbe le sue isole, per le quali scrisse “For what else is there / but books, books and the sea, / verandas and the pages of the sea”. Oggi resta il mare, e a stento, perché la vista dalla banchina è chiusa dall’esagerazione di queste navi, le verande sono trasformate in pizzerie. Ci restano i libri, e non solo quelli stampati, anche quelli di un mondo da vedere e ascoltare, per chi sappia ancora leggere.

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