Il sociologo: oggi si aggiunge pandemia a cause storiche povertà.
Roma – “Oggi c’è una causa in più di povertà economica: la pandemia”. Domenico De Masi, sociologo e professore emerito di Sociologia del lavoro alla Sapienza Università di Roma, spiega alla Dire con parole semplici ma incisive l’aggravarsi della povertà nel nostro Paese: “Se i poveri al 1 gennaio 2019 erano 5 milioni, scesi a 2 milioni grazie al reddito di cittadinanza, ora sono risaliti a 5-6 milioni. Tutto fa presupporre che nei prossimi mesi ci sarà un ulteriore incremento di 2-3 milioni di poveri. Il che ci farà arrivare a 8 milioni di poveri, pari a una percentuale di persone in povertà del 12/15% sulla popolazione totale, una cifra intollerabile e suscettibile- avverte De Masi- di conflittualità sociale molto forte”. In precedenza, ricorda il professore, “la povertà economica era causata dall’incapacità di distribuire la ricchezza”. Con la pandemia la situazione si è aggravata soprattutto perché “la disoccupazione è cresciuta enormemente”. L’emergenza sanitaria ha infatti interrotto o ridimensionato molte attività lavorative, “cosi’- ribadisce il professore- alla povertà dovuta al criterio economico si è aggiunta la povertà causata dalla pandemia”. Quanto alla distribuzione del reddito di cittadinanza, il sociologo chiarisce che “dove c’è maggiore povertà ci sono stati più redditi di cittadinanza. Complessivamente- ricorda- ne sono stati erogati per 3,7 milioni di persone, in gran parte individui che non potevano lavorare. Va ricordato infatti- tiene a precisare- che il reddito di cittadinanza è stato erogato solo a un milione di disoccupati, cioè persone che non hanno un impiego ma possono lavorare. Gli altri 2,7 milioni sono anziani, bambini, inabili, ovvero persone che non cercano un lavoro ma un sussidio”. De Masi ricorda che esistono tre diversi tipi di poveri (dal punto di vista economico, ndr): “Gli inabili al lavoro, che sono anziani, inabili e bambini; quelli che non hanno un lavoro, quindi i disoccupati; e infine coloro che hanno un lavoro che viene retribuito talmente poco per cui sono comunque poveri pur lavorando. Per ciascuna categoria- sottolinea- servono politiche diverse: per chi ha un salario troppo basso occorre aumentarlo; per chi non ha lavoro occorre trovarlo; per chi non può lavorare occorre un sussidio”. Tornando alla disomogenea distribuzione della ricchezza come prima causa della povertà, De Masi aggiunge che “l’Italia ha un Prodotto interno lordo (Pil) pro capite di 34mila euro. Quindi se noi avessimo, in maniera omogenea, 34mila euro ciascuno staremmo tutti benissimo, perché una famiglia di 4 persone avrebbe a disposizione quasi 150 euro al giorno. Il problema è invece che ci sono 10 famiglie che messe insieme posseggono la ricchezza di 6 milioni di poveri, che equivalgono a circa un milione e mezzo di famiglie. Tutto questo- ricorda- è causato da un’economia impostata in senso neo-liberista che crea povertà in tutto il mondo, anche nei Paesi più ricchi. Non è vero che bisogna produrre più ricchezza per ridurre la povertà perché – ammonisce il professore emerito in conclusione – in questo sistema, se si produce più ricchezza se la prendono i più ricchi”.
Fonte «Agenzia DIRE»: www.dire.it
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