L’amaranto: un alimento del passato, speranza per il futuro

L’Amaranto (Kiwicha), un piccolo seme nell’alimentazione dei bambini e delle famiglie più povere – Una nuova Agricoltura Autoctona per lo sviluppo umano e sociale quale alternativa per la lotta alla fame nel mondo.

Probabilmente avete  già visto questo fiore sui bordi delle strade, sui campi limitrofi alle autostrade o sulle rive dei fiumi, ecc. ecc, chiamato amaranto o “kiwicha” in dialetto andino. Pochi però sanno che questa pianta ha enormi potenziali nutritivi. L’amaranto sta emergendo come nuova pianta dalle lontane e povere province Andine.

 Mr. Michelangelo Casano, Presidente della Fondazione Quiero Vivir (Voglio Vivere)  l’ha presa molto a cuore. Ne ha fatto un importante progetto che grazie all’apporto di alcuni enti italiani e europei e fondazioni private, che sta realizzando in Argentina nella provincia di Salta proprio alle falde delle Ande Argentine al confine con la Bolivia a e il Cile. Progetto che spera poter realizzare anche in altre parti del mondo (Africa, Asia e  Europa)

L’amaranto è  l’alimento del futuro per combattere la fame nel mondo, la denutrizione infantile e delle donne in stato di gravidanza e nella fase di allattamento.

Con la scoperta dell’america  e dopo la conquista spagnola, la sua coltura è stata completamente sostituita – grazie ad una politica repressiva di  divieto degli invasori – dalla importazione del grano e altri cereali. L’amaranto viene riscoperto solo nel ventesimo secolo grazie alla cucina tradizionale andina che ha portato alla ribalta piatti tipici come il Tamale, le Tortillas (frittate).

La kiwicha o amaranto (Amaranthus caudatus L.) è una dicotiledone annuale (famiglia delle Amarantacee) coltivata tradizionalmente in giardini e piccoli appezzamenti nelle Ande fino a m 3,600 slm. Semi di kiwicha sono state trovate in tombe pre-incaiche, sigillate 4,000 anni fa.

“Kiwicha”: ” in italiano  vuol dire: “sogno che non svanisce” era la pianta  usata nella cultura Maya come simbolo di immortalità.

È una pianta brevidiurna, rustica, che può raggiungere m 2.5 di altezza a maturità. Ha limitate esigenze climatiche, resiste alla siccità (cresce anche solo in presenza di mm 200 di pioggia), al calore (ottimo di temperatura: 21-28ºC) e al freddo (resiste fino a 4ºC). Questa pianta presenta il ciclo C4 di assimilazione del carbonio durante la fotosintesi, ossia come il mais e il sorgo cresce anche in condizioni siccitose nella stagione primaverile-estiva. È una pianta di ciclo corto, che si alterna nel corso della stessa stagione con il pisello (Phaseolus spp.) e l’arachide (Arachis hypogaea L.), cui seguono i cereali autunno-vernini.

Preferisce i suoli sciolti, sabbiosi con elevato contenuto di humus, anche se esistono varietà che crescono bene nei suoli alcalini (pH 8.5). La semina, manuale o meccanica, avviene a partire da settembre, al sopraggiungere la stagione delle piogge. Spesso i semi minuti (kg/Ha 0.5-1.0) sono miscelati con la sabbia per favorire l’uniformità della distribuzione. La semina a file, superficiale, è praticata in suoli ben sminuzzati. Nei climi più umidi la kiwicha può essere seminata in vivaio e trapiantata. Nel caso della coltivazione da granella la distanza ottimale tra le file è di cm 3.5, la densità di semina piante/m2 36. La germinazione di questi piccoli semi richiede che il suolo sia umido. È suscettibile ai marciumi radicali. Seminata fitta non presenta problemi di erbe infestanti. La coltivazione tradizionale avviene durante la stagione delle piogge per cui non richiede irrigazione.

La raccolta avviene appena prima della maturazione, onde evitare la loro dispersione. Esistono varietà migliorate i cui semi maturano contemporaneamente. La resa varia da kg/Ha 500 a 3,000, con punte di kg/Ha 6,000 per le varietà selezionate coltivate intensivamente. I semi essiccati fino al’8-11% di umidità conservano la vitalità per oltre un anno. Vi sono oltre una trentina di varietà di amaranto in produzione, che in funzione dei terreni dove vengono coltivati danno risultati di resa interessanti.

Lo stelo può essere unico o ramificato, a secondo della varietà e della densità di coltura. Le infiorescenze distali (pannocchie) lunghe fino a cm 90 comprendono fiori maschili e femminili, che si impollinano tra di loro (autogamia).

I frutti contengono un solo seme, caratterizzato da un elevato valore proteico e vitaminico. Se ne ricava una farina che può essere utilizzata per arricchire quella a base di frumento e di mais. Le sue virtù che ne fanno una pianta  medicinale popolare, possono essere valorizzate a livello di sistema sanitario di base, per integrare le razioni alimentari (medicina domestica e centri di salute). L’industria alimentare e l’industria chimica hanno messo a punto sistemi di trasformazione e raffinazione dei composti presenti nella kiwicha che commercializzano nei mercati più esigenti.

La raccolta è manuale e l’essiccazione avviene al sole, adesso si può anche contare su attrezzature semplici per mezzo di flussi di aria.

Il valore nutritivo della kiwicha è estremamente importante, I semi minuti di questo pseudo-cereale contribuiscono a contenere le deficienze proteiche e i microelementi delle popolazioni native delle Ande. In particolare il contenuto proteico raggiunge il 13-18%, con un elevato contenuto di aminoacidi essenziali (lisina 6.2%, metionina 2.3%), di calcio, fosforo, ferro, zinco e di vitamine E e del complesso B. L’olio, insaturo al 76%, contiene gli acidi linoleico, oleico e palmitico. La fibra, assai fine, non viene separata dall’amido. Il coloro rosso, dovuto alla betalaina, è utilizzato come colorante degli alimenti. I grani di amido molto fini (μ 3.5) hanno diversi usi industriali, per esempio come sostituto del talco.

I semi possono essere tostati, scoppiati o laminati. È impiegata per la preparazione di zuppe, cereali da colazione (flakes), pane, dolci, bevande calde e insalate. Le foglie sono consumate come verdure bollite.

La farina integrale può essere mescolata con quella del grano e del mais nella preparazione degli alimenti tradizionali e costituisce un cibo altamente nutritivo idoneo all’alimentazione materno infantile.

Sono stati studiati alimenti a base di farina e di semi scoppiati e laminati di amaranto. Essi hanno un basso potere di imbibizione e si conservano a lungo.

 Sono stati messi a punto sistemi pilota di  macinazione per la produzione di farina iperproteica di amaranto, applicando le tecniche di estrusione e i trattamenti ad alta temperatura per brevi periodi (HTST). La separazione delle diverse frazioni del grano durante la molitura permette di ottenere 3 frazioni granulometriche: la più ricca ha un contenuto proteico del 40%, la semola ha un contenuto di amido dell’84% e i fiocchetti  sono ricchi di fibra dietaria. Tali prodotti sono usati per fabbricare di pane, biscotti e dolci..

Inoltre i consumatori apprezzano l’origine organica della kiwicha prodotta nei paesi di origine, in quanto gli agricoltori tradizionali non si avvalgono di prodotti chimici.

Le parti verdi di questa pianta sono usate come verdure cotte; in alternativa essa è coltivata come foraggio, soggetto a 4-5 sfalci, per l’alimentazione del bestiame.

Altri usi comprendono la cosmesi (olio con squalene) e la colorazione naturale (perpetuino). Negli ultimi anni il consumo di farina di kiwicha si è affermato a livello di nicchia in: Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Danimarca, Spagna, Italia, Giappone, Messico, Perù.

Sono stati inoltre rilevati benefici nelle persone che se ne nutrono e soffrono di artrite, diabete, gotta e reumatismi, oltre che durante la gravidanza. La cottura è più rapida di quella della maggiore parte dei cereali e l’assenza di glutine ne fa un alimento ottimale per le persone che soffrono di celiachia.

Oggi, grazie alla collaborazione tra la Fondazione Argentina Voglio Vivere e la omolaga  Associazione Italiana  Onlus Voglio Vivere con la partecipazione della Fondazione Cariplo e il contributo del Ministero degli Affari esteri Italiano e del Cipsi (confederizone italiana che ragguppa 40 ong), gli agricoltori di Salta e Jujuy (Provincie del  nord Argentino)  cosi come numerose scuole rurali, hanno ri-scoperto questa coltura tradizionale  non solo per farne il loro principale alimento ma anche per aumentare il reddito pro capite e dare un importante incremento agricolo e commerciale alla regione.

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