di Marco Mascia (Presidente del Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca”, Cattedra Unesco Diritti Umani, democrazia e pace, Università di Padova)
La Dichiarazione universale dei diritti umani viene scritta all’indomani della seconda guerra mondiale per affermare che “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”. Ovvero per dire ai governi che non la sovranità nazionale e l’interesse nazionale, ma la dignità umana e i diritti umani devono essere posti al centro dell’ordine internazionale.
Non avremmo la Dichiarazione universale se tre anni prima non fosse stata creata l’Organizzazione delle Nazioni Unite con il compito di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra” e “riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole”.
La Dichiarazione universale è la nostra Bussola. La Bussola dell’umanità. Non ci sono alternative alla via istituzionale e giuridica alla pace.
Nella solenne affermazione dell’articolo 1, “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”, sono inscritti i quattro punti cardinali della nostra Bussola: libertà, eguaglianza, dignità e diritti.
I successivi articoli della Dichiarazione universale descrivono concretamente i contenuti di queste quattro parole chiave. Indicano la strada che dobbiamo percorrere affinché, come recita l’articolo 28, “i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati”.
Libertà significa che tutti gli esseri umani devono godere della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno. Tutti hanno il diritto alla libertà di movimento, alla libertà di opinione e di espressione, alla libertà di riunione e di associazione pacifica.
La Dichiarazione pone in relazione fra loro tre libertà: di pensiero, di coscienza e di religione. Queste tre libertà sono interdipendenti e indivisibili rispetto a tutti gli altri diritti fondamentali, ma con una caratteristica peculiare che Antonio Papisca descrive con queste parole: “Gli altri diritti possono essere distrutti dall’esterno: si pensi al diritto all’alimentazione o al diritto alla salute o al diritto al lavoro. Non è così per i tre diritti dell’articolo 18. Essi hanno una intrinseca forza di resistenza, possono essere combattuti, contrastati, ma sopravvivono comunque: più forti della morte. Mi possono mettere in carcere, possono combattere la mia religione, ma le mie idee, la mia fede, la mia coscienza rimangono intatte”.
Eguaglianza significa che tutti gli esseri umani nascono con gli stessi diritti fondamentali, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Significa che tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto ad una eguale tutela. Significa che tutti devono essere protetti contro ogni forma di discriminazione. Significa garantire l’eguaglianza tra uomini donne, quella che oggi chiamiamo, con un significato più ampio, eguaglianza di genere.
Dignità della persona umana, posta dalla Dichiarazione a fondamento dell’ordine mondiale, significa che ogni individuo ha diritto al godimento dei diritti economici, sociali e culturali in quanto indispensabili per il libero sviluppo della sua personalità. Significa che per garantire ad ogni essere umano un’esistenza conforme alla dignità umana devono essere pienamente realizzati i diritti all’educazione, alle cure mediche, ai servizi sociali, al lavoro, ad una remunerazione equa, alla casa, alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, disabilità… Dignità significa non essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti. In altre parole, dignità significa libertà dalla paura e dal bisogno.
Con la parola Diritti si intendono quei diritti che sono inviolabili e inalienabili, cioè che ineriscono alla dignità della persona. Che il legislatore riconosce ma non attribuisce. La loro universalità è logica per il semplice fatto che sono innati. I diritti umani sono tutti i diritti umani, civili, politici, economici, sociali e culturali, individuali e diritti collettivi. Sono i diritti dei popoli all’esistenza, all’autodeterminazione, alla pace, allo sviluppo umano, all’ambiente sano. Il principio guida è quello della loro interdipendenza e indivisibilità.
La Dichiarazione universale si chiude con il forte richiamo ai doveri “verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità” e ci ricorda che i nostri diritti finiscono dove iniziano i diritti degli altri. Non ci sono diritti senza responsabilità!
Così come i diritti umani e il multilateralismo sono stati i protagonisti della storia dopo la Seconda guerra mondiale nella costruzione del nuovo ordine mondiale, devono tornare ad essere protagonisti oggi. Con la differenza che non si parte da zero. Disponiamo di istituzioni di global governance e di un corpus organico di norme di ius positum interno e internazionale che allora erano nella fase nascente.
Il Diritto internazionale dei diritti umani, che ha le sue radici nella Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione universale dei diritti umani, definisce la guerra come ‘flagello’, la ripudia. È un diritto per la vita e per la pace. È un diritto per la cura. È un diritto che indica l’unica via possibile per costruire un ordine di pace: se vuoi la pace prepara la pace.
L’articolo Riprendiamo in mano la bussola dei diritti umani sembra essere il primo su Solidarietà e Cooperazione CIPSI.