Diritto e clemenza: che fare per il carcere?

di Daniela Candido, volontaria del Servizio Civile Universale – Progetto Italia: “Insieme alla nonviolenza” presso Solidarietà e Cooperazione CIPSI.

Nessuna pena è in grado di cancellare il reato, ma sulla frattura si può ricostruire” afferma Luciano Eusebi, docente di diritto penale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nell’atto introduttivo del convegno tenutosi in data 11 giugno presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica. Con questa semplice, seppur efficace, espressione il docente riesce a riassumere quello che è stato il fil rouge dell’incontro: la sempre crescente necessità di clemenza (che non è una parolaccia, come sottolinea Sua Eminenza Cardinale Matteo Maria Zuppi nel suo brillante intervento) nel mondo delle carceri.

I due termini, contrariamente a come potrebbe sembrare, non sono infatti regolati da un rapporto ossimorico, e per comprendere il perché è necessario analizzare qual è la situazione delle carceri italiane. Attualmente, i detenuti nelle case di pena sono circa 62 mila, a fronte della capienza regolamentare di poco più di 50 mila posti[1]. Ci troviamo di fronte ad una forma di sovraffollamento quasi contingente. La tensione è alle stelle, e non solo per i detenuti che si ritrovano a vivere in condizioni di malasanità, ma anche per lo stesso personale penitenziario, che è costretto ad affrontare turni interminabili. Ciò emerge chiaramente dall’altissimo numero di tentati suicidi in carcere dello scorso anno: ben 1500, di cui “solo” 91 riusciti.

La situazione descritta è, verosimilmente, assai lontana da ciò che la nostra Costituzione prescrive all’articolo 27: Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. È per questo che risulta essenziale intervenire sul numero di detenuti, nonostante i recenti decreti legge facciano prospettare soltanto un aumento del sovraffollamento, già intollerabile. Il giovanissimo, e già criticatissimo, decreto Sicurezza (l. 80/2025) invece introduce ulteriori pene per chi attua la resistenza passiva nelle carceri e nei centri per migranti. Il decreto Caivano (l. 159/2023) ha introdotto la possibilità di custodia cautelare in carcere anche per lo spaccio di lieve entità. Il risultato? Attualmente, anche gli Istituti Penali per i Minorenni risultano stracolmi.

Una prima soluzione ravvisata da Stefano Anastasia (Garante delle Persone sottoposte a misure restrittive della libertà per la Regione Lazio) potrebbe essere quella di intervenire mediante un provvedimento di indulto sugli oltre 16 mila detenuti che sono in carcere per scontare pene, o residui di pene, inferiori ai 2 anni. Come sapientemente ribadito dal professore Andrea Pugiotto l’indulto, come l’amnistia d’altronde, sono degli istituti espressamente contemplati dalla nostra Costituzione e pertanto perfettamente compatibili con la legge. Nel primo caso, l’istituto è volto ad estinguere la pena, nel secondo invece estingue il reato per cui si è stati condannati. Fino a non troppo tempo fa, l’Italia era nota come “il paese delle amnistie”: nel lasso di tempo che va dall’inizio dell’era repubblicana fino ai primi anni novanta sono stati emanati ben 23 provvedimenti di clemenza. Tale trend si è arrestato grazie alla riforma costituzionale del 1992 che è intervenuta nel modificare l’art 79 della Costituzione, stabilendo che tali istituti dovessero essere approvati a maggioranza qualificata dei 2/3 dei componenti di ciascuna Camera. Tale soglia risulta ulteriormente “dolomitica” se si considera che è superiore anche all’iter aggravato di riforma costituzionale: paradossalmente, è più facile modificare l’articolo 79 della Costituzione che approvare un decreto di amnistia o indulto. Conseguenzialmente, la nostra Repubblica non conosce provvedimenti simili da 35 anni, tranne per un provvedimento di indulto emanato nel 2006.

Oggi più che mai c’è bisogno di clemenza, ma non nel senso più misericordioso del termine: è fondamentale che siano promulgati provvedimenti di amnistia o indulto, in quanto soluzioni ragionevoli per portare l’ordinamento ad una situazione di legalità e di sostenibilità e per dare piena attuazione al dettato costituzionale contenuto nell’articolo 27.


[1] Rapporto Antigone 2024

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