La Redazione
In data 27 giugno 2025, i Ministri degli Esteri della Repubblica Democratica del Congo Therèse Kaykwamba Vagner e del Ruanda Olivier Nduhungirehe hanno firmato un “Accordo di Pace” a Washington, sotto l’egida degli USA di Donald Trump. Aldilà di quelle che sono le dichiarazioni ufficiali, la stessa popolazione
congolese dubita dell’efficacia dell’accordo, e tanti sono i dubbi e le perplessità.
L’obiettivo dell’accordo è la liberazione delle zone occupate dal Rwanda, ma a che costo? Il Congo è tenuto a cedere parte del proprio suolo per lo sfruttamento dei minerali agli Stati Uniti, tramite un processo di trasformazione e trasferimento curato dalla Repubblica ruandese. Tra coloro che hanno espresso in maniera più radicale la loro critica e il loro dissenso ci sono anche i membri del partito dell’ex presidente Kabila che denuncia tale accordo come un procedimento condotto “senza popolo e senza Parlamento”.
Tra le grandi lacune dell’accordo, la più gravosa d’accettare è sicuramente la mancanza di una clausola che preveda il ritiro immediato delle truppe ruandesi dal territorio congolese. Pertanto, le preoccupazioni vertono sul fatto che la liberazione delle zone occupate dal Rwanda non avverrà nell’immediato futuro: c’è chi parla di tranello, addirittura. Lapidarie le parole del già citato ex presidente Kabila, che parla di una vera e propria resa diplomatica. Come sottolineato, inoltre, dal premio Nobel per la pace Denis Mukwege l’accordo, in nessuna parte, riconosce la RDC come un paese aggredito: ciò dimostra che “i germi del prolungamento del conflitto sono già piantati”.
E’ in questo clima decisamente non sereno che la Repubblica del Congo ha vissuto il 65° anniversario dalla sua indipendenza: è pur sempre festa nazionale, ma in tono molto minore e in misura ridotta di fronte a quella che la maggioranza dei congolesi sta vivendo come una pace ingiusta.
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