Di Giulia Maria Mastrotucci, volontaria in servizio civile universale nel progetto “Gesti di cura: comunità solidali coi migranti” presso Solidarietà e Cooperazione CIPSI.
Il cambiamento climatico è, senza dubbio, una delle sfide più urgenti e complesse del nostro tempo. Si tratta di una crisi globale che interessa l’intero pianeta, ma che non colpisce tutti allo stesso modo: le sue conseguenze si manifestano in modo diverso a seconda del luogo in cui si vive, delle risorse disponibili e delle condizioni economiche e sociali. Paradossalmente, le popolazioni più colpite sono anche quelle che contribuiscono in misura minore alle emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento globale. Il divario tra chi causa il problema e chi ne subisce le conseguenze è evidente. I paesi industrializzati, responsabili della maggior parte delle emissioni storiche, hanno accesso a risorse tecnologiche, infrastrutture avanzate e reti di protezione sociali in grado di affrontare (almeno in parte) l’impatto dei disastri ambientali. Al contrario, le nazioni in via di sviluppo si trovano spesso prive degli strumenti necessari per affrontare eventi estremi, con gravi conseguenze sulle fasce più fragili della popolazione.
Tra le aree più colpite troviamo l’Africa sub-sahariana, il Sud e Sud-Est asiatico e l’America Latina. In questi territori, gli effetti del cambiamento climatico si intrecciano con disuguaglianze economiche e fragilità strutturali, aggravando povertà, fame, instabilità politica e fenomeni migratori.
(1)Secondo il capitolo 9 del Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC (AR6 WG2), l’Africa è uno dei continenti più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico, nonostante contribuisca solo per una minima parte alle emissioni globali. La regione del Sahel, ad esempio, è fortemente colpita da fenomeni di siccità e desertificazione, con gravi ripercussioni sull’ambiente, sull’agricoltura e sulla sicurezza alimentare. Negli ultimi decenni, il continente ha registrato precipitazioni sempre più estreme: lunghi periodi di siccità vengono interrotti da piogge torrenziali che causano inondazioni devastanti. Questo scenario imprevedibile ha messo in crisi non solo interi ecosistemi, ma anche le comunità che dipendono da essi. Foreste e praterie si stanno riducendo, la fauna selvatica è in declino e intere specie stanno scomparendo.
(2)E tutto questo non è solo teoria. E la realtà quotidiana per persone come Sambo Maiga, agricoltore in Burkina Faso, che racconta: “La terra non è più fertile come prima. Gli alberi muoiono, l’erba si secca e i raccolti sono sempre meno. Ora vendo biscotti e sigarette per far sopravvivere la mia famiglia.”
(2)O come Mamouna Ouédraogo, madre sfollata nella città di Kaya: “La nostra casa temporanea è stata distrutta dalle inondazioni. Non abbiamo più nulla”
Oltre alla fame e alla povertà, anche la salute è a rischio. L’aumento delle temperature e l’alterazione delle precipitazioni stanno infatti favorendo la diffusione di malattie come malaria, dengue e colera. Chi non ha accesso a cure sanitarie è esposto in modo diretto e pericoloso.
(3)In Asia, la situazione non è meno preoccupante. Secondo il rapporto State of the Climate in Asia 2024 della World Meteorological Organization (WMO), l’Asia si sta riscaldando a un ritmo quasi doppio rispetto alla media globale. Tra il 1991 e il 2024 l’aumento delle temperature ha raggiunto livelli senza precedenti. L’innalzamento del livello del mare sta modificando profondamente le correnti marine, con impatti su tempeste, ecosistemi costieri e pesca. Le aree costiere densamente popolate, come il Bangladesh e alcune isole del Pacifico, si trovano in condizioni di estremo rischio. La criosfera asiatica, in particolare i ghiacciai dell’Himalaya e del Tian Shan, sta subendo un rapido scioglimento. Questo fenomeno aumenta il rischio di alluvioni glaciali, frane, e comporta una riduzione della disponibilità idrica per milioni di persone che dipendono da questi ghiacciai per il rifornimento di acqua potabile e agricola.
Il 2024 ha visto eventi meteorologici estremi in tutto il continente. In Asia centrale, forti nevicate e piogge hanno causato inondazioni drammatiche, con dighe che hanno ceduto e oltre 118.000 persone evacuate in Kazakhstan e nel sud-ovest della Russia. Il ciclone Yagi ha provocato più di 800 morti e danni ingenti in Vietnam, Filippine, Cina, Myanmar, Laos e Thailandia. Nel frattempo, una grave siccità in Cina ha colpito quasi 5 milioni di persone e danneggiato oltre 335.000 ettari di coltivazione. Sempre nel 2024, precipitazioni record in Nepal hanno causato inondazioni mortali, con almeno 246 vittime.
(4)Come sottolineato dal rapporto State of Climate in Latin America and the Caribbean 2024 della WMO, anche l’America Latina e i Caraibi stanno affrontando gravi conseguenze legate al cambiamento climatico. Il continente è colpito da incendi boschivi sempre più intensi e violenti, aggravati da siccità e ondate di calore. L’Amazzonia, il Pantanal, il Cile, il Messico e il Belize sono tra le aree più colpite. In Cile, gli incendi del 2024 hanno causato più di 130 morti e danneggiato molte aree naturali e agricole. La scomparsa del ghiacciaio Humboldt in Venezuela è stato un evento simbolico: ha reso il paese il secondo al mondo a perdere tutti i suoi ghiacciai, dopo il Papua Nuova Guinea. Questo evento segna una perdita irreversibile per l’ecosistema e compromette la disponibilità di acqua per molte comunità. In Brasile, nello stato di Rio Grande do Sul, si è verificato il peggior disastro climatico della sua storia, con oltre 180 morti e ingenti danni agricoli. Inoltre, il ciclone tropicale Neryl, il più forte mai visto nei Caraibi, ha devastato Grenada e altre isole vicine, causando enormi danni sociali e economici.
(5)Nella favela di Acari a Rio de Janeiro, la mostra Favela Climate Memory raccoglie i ricordi degli abitanti: “Ricordiamo quando il fiume era pulito, pieno di pesci e ci facevamo il bagno.” Ora il fiume è inquinato e le piogge torrenziali lo fanno esondare frequentemente.
Nel frattempo, quasi 200.000 persone in paesi come Haiti e Honduras vivono in uno stato di emergenza alimentare a causa di siccità e raccolti perduti. Il fenomeno El Niño ha peggiorato una situazione già al limite.
Le regioni analizzate condividono una caratteristica comune: sono tutte fragili sotto il profilo socio-economico e dotate di infrastrutture limitate, rendendole meno preparate per affrontare le sfide climatiche. Eppure, in mezzo alla crisi emergono anche voci di resilienza. Donne come Elizabeth Wathuti (Kenya), Adenike Oladosu (Nigeria) e Sevidzem Ernestine Leikeki (Camerun) combattono la crisi ambientale piantando alberi, educando i giovani e costruendo comunità più sensibili. È indispensabile intervenire per rafforzare infrastrutture, investire in agricoltura sostenibile, nella tutela degli ecosistemi e in una gestione responsabile delle risorse naturali. Questo approccio non solo aiuterà i paesi più vulnerabili a fronteggiare le crisi, ma aiuterà a ridurre le migrazioni climatiche, che già oggi interessano anche l’Italie e l’Europa, con un numero crescente di persone costrette a fuggire da territori resi invivibili
La crisi climatica non è più una minaccia futura, ma una realtà presente. L’unico modo per evitare un collasso globale è agire oggi, con politiche coraggiose, scelte collettive e un impegno concreto per un futuro equo e sostenibile per tutti.
(1)Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), Sixth Assessment Report – Working Group II – Chapter 9: Africa, 2022.
(2)UNHCR, Cambiamento climatico e conflitti perseguitano i burkinabé costretti a fuggire
(3)World Meteorological Organization (WMO), State of the Climate in Asia 2024.
(4)World Meteorological Organization (WMO), State of the Climate in Latin America and the Caribbean 2024.
(5)The Guardian, How memories of clean water, frogs and fresh air could help save Rio’s favelas from future climate disaster
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