Servizio Civile in Senegal, un anno dopo

di Giada Cicognola

Le sfide e le conquiste delle quattro civiliste del Cipsi a conclusione del loro percorso nel paese della “Teranga”. Accoglienza, ma anche apertura al prossimo e ospitalità.  La scoperta del diverso, l’esercizio della pazienza, il possibile e i propri limiti. Un’esperienza che ci ha permesso di crescere.

Le quattro civiliste Francesca, Floriana, Giada e Martina.

Il diverso

La vita a Pikine, ad una manciata di minuti dalla rumorosa Dakar, ma allo stesso tempo lontana anni luce dai lussuosi locali che vi si possono trovare, permette di entrare in contatto con la popolazione locale in un modo del tutto peculiare. Terra di mezzo, in cui sfrecciano fuoristrada e scorrazzano branchi di capre, rimane cuore pulsante e mantiene tante di quelle sfaccettature tradizionaliste della cultura senegalese, ma ad un passo dalla modernità. Dopo un anno qui, i volti dei negozianti e dei vicini di casa sono facce amiche, che si aprono immancabilmente ad un sorriso quando passiamo. Ognuno con le sue differenze, ma anche con la consapevolezza di aver condiviso qualcosa.

Lo stupore negli occhi e nelle parole degli stessi senegalesi allo scoprire dove abbiamo vissuto per così tanti mesi, ci ha sempre fatto sorridere: sì, veniamo da Pikine, ai loro occhi come il Bronx di Dakar, e lì siamo entrate a contatto con il diverso e con la vita delle persone normali, i loro pensieri, le loro preoccupazioni quotidiane. Abbiamo partecipato ai loro matrimoni e battesimi, siamo state accolte da una cultura tollerante ma ancora gelosa delle sue tradizioni. Abbiamo rotto il digiuno nei giorni di Ramadan con i Baye Fall, ragazzi di una sorta di confraternita musulmana che affollano gli angoli delle strade di Pikine, con i loro vestiti colorati e i megafoni da cui escono gracchianti le note di canti religiosi, e ci siamo fermati a bere il tè per strada con gli amici. Diversi, ma in fondo uguali.

Distribuzione di caffè Touba, miscela speziata tipica Senegalese, al momento della rottura del digiuno per il Ramadan.

La pazienza

In Senegal succede un fenomeno particolare: il tempo si dilata e si capovolge secondo regole tutte sue. Il ‘sarò qui tra 15 minuti’ assume un nuovo significato: quei 15 minuti, infatti, possono trasformarsi in mezz’ora, un’ora o anche due. Uno scenario che manderebbe nel panico qualsiasi persona non abituata a questi ritmi, e che in effetti ci ha fatto spazientire non poche volte. Ecco allora lo sforzo costante di calarsi in una cultura diversa, e nell’avere fiducia che prima o poi quel negozio aprirà e che quella persona arriverà. E allora, anche se la giornata non è andata come te l’aspettavi, riuscirai comunque a fare almeno una parte di ciò che ti eri ripromessa, e quello che è rimasto fuori forse non era poi così importante. Lasci l’orologio nel cassetto e resetti i parametri con cui hai vissuto la tua vita altrove, apprezzando anche la bellezza del non preoccuparsi di quello che prima sembrava così cruciale.

La pazienza diventa necessaria anche per capire l’altro e gestire la frustrazione che modi diversi di vivere e lavorare possono far scattare. Niente è mai come sembra: in Italia pensiamo di avere le lenti giuste per guardare il mondo: qui, invece, ogni volta che pensi di aver capito tutto, c’è una spiegazione che non immaginavi. Aspettare, non rispondere subito, non pensare di avere sempre ragione, dare e darsi tempo, imparare a farsi delle domande e non darsi da soli delle risposte ma a leggerle in base agli altri.

Sedersi e attendere, uomini Senegalesi a Joal Fadiouth.

Il possibile

Solo dopo un anno capisci che, misteriosamente, tutto va come deve andare. All’inizio l’ansia di fare e conoscere nuovi scenari si impossessa di te, e ti assale la preoccupazione di non riuscire mai a trovare la tua dimensione in un contesto tanto diverso. Ma finisce che i mesi volano, e quella dimensione è possibile trovarla. Finirai per fare cose e visitare luoghi che non pensavi, ma andrà comunque bene. Perché se da un lato infrastrutture o modi culturali sembrano fare lo sgambetto a qualsiasi piano razionale che cerchi di stilare per la tua giornata, poi comincia la magia dell’imprevedibile. Del vicino, amico dell’amico, che si ricorda di te e ti da un passaggio quando pensavi di essere in ritardo. Della fame che ti attanaglia dopo aver marciato nelle stradine di sabbia di Pikine all’ora più calda e lo sconosciuto che ti invita a mangiare con lui. Del negozio chiuso di cui avevi assolutamente bisogno e che, con un chiamata, viene aperto per farti un favore. Dei prezzi quasi sempre contrattabili. Degli autobus mai troppo pieni.

Dovrai lasciarti guidare, soprattutto negli spostamenti. Satelliti, app, siti internet diventano inutili, e anzi ti precludono scoperte incredibili se decidi di non affidarti all’altro, ad indicazioni stradali e consigli che sembrano così lontani da quello a cui siamo abituate, ma che qui sono tutto. Anche se non nel momento né nel modo che immaginavi, in qualche maniera arriverai dove volevi. Devi solo smettere di dubitare, perché, come dicono qui, amoul solo, nessun problema, è possibile.

I propri limiti

Sfide logistiche e pratiche che si affiancano a, soprattutto, sfide psicologiche. Una riflessione costante sul modo migliore di porsi rispetto agli altri e di scoperta di ciò che siamo e ciò che non vogliamo essere. Limiti che non pensavi di avere, e capacità che non pensavi di possedere, in rapporto alla comunità che ti circonda, alle tue colleghe, coinquiline, amiche. Al lavoro, che in una posizione privilegiata ti permette di vedere come opera una ong sul campo, alle sfide che deve affrontare e che diventano di riflesso anche le tue, alle soluzioni creative che devi adottare.

Una crescita personale, forzata a volte, lontane dagli amici di sempre e in un luogo che, nonostante ti costringa ad essere sempre in compagnia di qualcuno, ti può anche lasciare in un mare di solitudine. Ma è così che scopri la forza dentro di te, e che solo tu puoi decidere di prendere tutte le sorprese che questo paese ti lancia come occasioni per migliorarti e per conoscerti meglio.

Questo articolo è stato scritto raccogliendo i pensieri ed impressioni delle quattro volontarie.

 

 

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Source: Cipsi

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