Raggi di speranza? I mandati di arresto della Corte Penale internazionale e l’Alleanza contro la fame  del G20

di Riccardo Petrella

Due eventi maggiori di portata mondiale sono avvenuti in coincidenza negli ultimi giorni. Il 19 novembre, gli Stati membri del G20, riuniti a Rio sotto la presidenza del Brasile, hanno  ratificato il progetto di lancio di una “Alleanza globale contro la fame e la povertà”, ed espresso il comune impegno a cooperare affinché il finanziamento del programma dell’Alleanza sia assicurato effettivamente  da una tassa internazionale sui super-ricchi. Non è una novità assoluta ma sembra che l’impegno sia piuttosto serio. II 21 novembre, la Corte penale internazionale (CPI) ha emanato dei mandati di arresto nei confronti del  primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro difesa a  Yoav Gallant e per i leader di Hamas, per crimini contro l’ umanità e crimini di guerra. Una sentenza storica.

Partiamo, quindi, dalla sentenza della CPI. Essa è d’importanza storica per vari motivi. Anzitutto, essa si pone in rottura netta contro le tendenze degli ultimi anni di smantellamento e di negazione del Diritto,  non solo a livello nazionale ma anche a livello del diritto internazionale. La legge del più forte e degli interessi egemonici ed esclusivi  delle oligarchie  degli Stati dominanti  si è imposta con violenza. La Corte penale internazionale,  la cui  legittimità e le cui funzioni  sono state approvate  dalla stragrande maggioranza degli Stati membri delle Nazioni Unite (Conferenza di Roma, 1996), salvo, non a caso, gli Stati Uniti, lsraele, la  Russia, la Cina, riafferma  la supremazia del Diritto e del principio che nessuno al mondo è al di sopra il Diritto. In effetti, la  condanna della CPI è giuridicamente vincolante per tutti  anche per gli Stati Uniti i quali continuano da 30 anni a rifiutare, con  una propria legge, l’autorità della  CPI.

In secondo luogo,  condannando i principali responsabili politici dello Stato di Israele per crimini contro l’umanità e crimini di guerra, come aveva  già fatto con  il mandato di arresto nei confronti di Putin per la guerra in Ucraina, la CPI condanna indirettamente come criminali anche i responsabili politici degli Stati che hanno apertamente  sostenuto, con massicci interventi di armi e di denaro, i crimini compiuti da Israele. in primis  gli Stati Uniti e gli Stati europei. Nessuno ha dimenticato gli abbracci calorosi tra Netanyahu e la presidente della Commissione europea dell’UE dopo l’annuncio  della decisione del governo di Israele di procedere militarmente allo sradicamento della presenza dei Palestinesi dalla striscia di Gaza e dalla Cisgiordania.

A notare; inoltre, elemento molto importante, che la CPI ha rigettato giuridicamente l’argomento della “legittima difesa” invocato da Israele a dai suoi protettori/complici  come scusa a giustificazione del genocidio tuttora in corso. La CPI afferma con forza che non v’è alcuna impunità possibile. Anche i più  forti, i dominanti, non sono impunibili. Si tratta di un messaggio e di  una certezza di grande attualità se si pensa al caso presidenziale americano.

Infine, con  la sua sentenza, la CPI fa opera di sensibilizzazione e di educazione alla pace ed alla giustizia  mettendo  in luce presso l’ opinione pubblica mondiale i limiti e le ambiguità dei concetti stessi di “guerra giusta” e di “guerra di difesa”. La guerra, ricorda, è un crimine. 

E’ anche sotto questa luce che, mi sembra, si può e si deve dare un grande valore al  lancio dell’ “Alleanza globale contro la fame e la povertà” in  favore della quale il presidente Lula, all’origine dell’iniziativa, si è battuto per mesi con tenacia e convinzione. Ricordo che una delle prime decisioni prese da Lula nel corso della sua prima presidenza fu quella di promuovere una campagna nazionale contro la fame e, in detto quadro, la campagna per un milione di cisterne (diritto all’acqua). La decisione del  G2O di impegnarsi a finanziare i programmi dell’Alleanza  grazie in particolare ad una tassazione mondiale sui super ricchi apporta una luce incoraggiante. Certo,  non è escluso che molti paesi del G20 abbiano firmato l’accordo, stimando che l’obiettivo dell’Alleanza resterà anch’esso  lettera morta come è accaduto per le tante e ripetute promesse fatte dal G20 in venti anni di esistenza. Questa ipotesi è plausibile visto il vento malsano che impedisce un pur debole accordo finanziario alla COP29 sul clima. Peraltro, non è evidente che la soluzione di una tassa globale dell’1% sui super-ricchi come quella dell’attribuzione dell’1% delle spese militari annue  alla lotta contro la fame e la povertà siano delle soluzioni efficaci  allo scopo di sradicare i fattori strutturali generatori della fame e della povertà. Però il fatto che siffatte soluzioni fossero formalmente approvate ed effettivamente applicate sarebbe un passo enorme sul piano politico e sociale e aprirebbe la via a soluzioni più solide ed efficaci. La storia comincerebbe a cambiare.

Ad ogni modo, v’è un aspetto nuovo da non sottovalutare. Non  so quanto abbia pesato in materia  la forte posizione presa  da  papa Francesco. Nel suo messaggio al G20, egli  denuncia come crimine (testuale) il fatto che i potenti  del mondo spendono migliaia di miliardi di dollari per armarsi e fare la  guerra accettando di lasciare morire di fame e di sete centinaia di milioni di esseri umani impoveriti. Nel suo messaggio, si capisce che papa Francesco considera, per questa ragione, come criminali anche i gruppi dominanti dei paesi del Nord. Resta anche il fatto che negli ultimi anni le popolazioni dei paesi a basso e medio reddito del cosiddetto “Sud globale” non accettano più le  enormi ineguaglianze dove i primi 5 miliardari del mondo posseggono ormai una ricchezza pari a quella di più di 4 miliardi di persone, cioè la metà della popolazione più povera della Terra. Non accettano  più che 4 miliardi di persone, nei loro paesi, non abbiano alcuna  protezione di base nel campo della sanità.

Tutto ciò spiega le ragioni che spingono i paesi del Sud globale a cooperare fra loro al fine di mettere  fine allo scandalo rappresentato dal fatto che il 20% della popolazione ricca del mondo sia colpevole dell’80% dei disastri  ambientali  e delle catastrofi climatiche nel mentre il restante 80% ne subisce  le conseguenze più grandi. Ciò nonostante, le oligarchie predatrici del Nord continuano con ostinazione a rifiutare di  assumere, secondo giustizia  (al di là dell’equità), il  carico maggiore finanziario per la ricostruzione rapida di un mondo sostenibile e giusto. 

Nei due eventi, la presenza significativa della denuncia e della condanna della  criminalità dei potenti vale molto. E’ un buon segno.

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